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Un’onda verde sul mare di Reggio «Siamo antilopi in mezzo ai leoni»

La trasferta del Carroccio con alcuni voli charter. Militanti frastornati: «Ci è sembrato di atterrare a Beirut o Tunisi»

Un’onda verde sul mare di Reggio  «Siamo antilopi in mezzo ai leoni»

Adalberto Signore

nostro inviato

a Reggio Calabria

La prima immagine della lunga giornata della Lega in pellegrinaggio nel profondo Sud è quella di un aereo che gira e rigira per quasi un’ora sull’aeroporto di Reggio Calabria. Sarà un segno inequivocabile del destino, o più probabilmente l’arrivo in contemporanea da Roma dell’aereo di Palazzo Chigi, fatto sta che lo sbarco del Carroccio nel cuore del Meridione non inizia sotto i migliori auspici. La Lega, però, ce la mette tutta. Perché i charter padani partono da Milano e da Venezia, ma pure da Torino e Roma. E si portano dietro lo stato maggiore del movimento: deputati, senatori, sottosegretari, consiglieri regionali e sindaci. Che arrivano al Palapentimele del capoluogo calabrese con l’imbarazzo che gli si legge in faccia e un sorriso di circostanza che gli tira in volto. Si ride e si scherza, ma ci si stringe pure in gruppi, perché – dice un deputato veneto – siamo «come le antilopi nella savana quando sono braccate dai leoni».
È questa la Lega che, dopo aver celebrato il rito dell’ampolla e aver omaggiato il dio Po a Venezia, fa il giro del mondo e si ritrova sperduta in terra di Calabria. La Lega che porta con sé le sue bandiere e le cravatte verdi e i fazzoletti con su il Sole delle Alpi, ma che si stringe subito a riccio, «che ci guardano come avessimo tre occhi» («come fossimo marziani dalla pelle verde», dirà più tardi dal palco Roberto Calderoli). Ma queste sono le indicazioni di Umberto Bossi che ai suoi ha chiesto «ancora pazienza», perché «siamo a un passo dal portare a casa la devoluzione». E così sia, è l’ennesimo «boccone amaro» da buttar giù e poi «ci vengono pure a dire che non siamo un alleato affidabile». Mentre iniziano a prendere posto, però, dalle battute («dall’aereo sembrava che stavamo atterrando a Tunisi o a Beirut», dice uno; «è vero, hanno l’urbanistica spontanea, crescono case ogni volta che piove», ribatte un altro ridendo) si passa a un imbarazzo tangibile. «Dài – cerca di tirar su la truppa con una battuta Luigino Vascon –, qui in Calabria ci sono venuto tante volte, non c’è mica d’aver paura...».
E invece, forse qualcuno un po’ di timore ce l’ha davvero. Perché sul palco stanno tutti lì a mettere la cipria alla Lega, a spiegare al Sud che il Carroccio non ce l’ha mica con loro. Quasi si fosse tornati al vecchio ritornello dei comunisti che mangiano i bambini. «Non capisco il modo di trattare gli amici leghisti», dice sul palco il primo degli oratori, il capogruppo dell’Udc al Senato Francesco D’Onofrio. Il suo omologo di An, Domenico Nania, segue la stessa linea, perché «togliere il concetto di interesse nazionale dalla Costituzione non l’ha fatto la Lega, ma la sinistra. L’ha fatto D’Alema». E ancora: «Sapete come il consigliere giuridico di Carlo Azeglio Ciampi ha definito la modifica dell’articolo 116 fatta dall’Ulivo a fine della scorsa legislatura? “Secessione mascherata”. E non è stato mica il Carroccio». La folta truppa di leghisti ascolta stancamente, ma non concede neanche l’ombra di un applauso. Pure quando sul palco sale Carlo Giovanardi, ministro per i Rapporti con il Parlamento dell’Udc, e si becca una buona dose di fischi dai settori di Forza Italia, i leghisti non cedono alla tentazione di unirsi al coro e tacciono divertiti.
La Lega si ridesta solo quando viene annunciato l’intervento di Calderoli, accolto da uno scrosciare di applausi e da qualche coro (da «Bo-ssi-Bo-ssi-Bo-ssi» a «li-ber-tà-li-ber-tà»). Una situazione surreale che sta tutta negli occhi sbigottiti di chi guarda sventolare l’Alberto da Giussano per la prima volta in vita sua.

Come a dire, «ma allora la Lega esiste davvero».

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