OPERAZIONE GRANDE IMPRESA

Questa legge finanziaria sembra davvero la commedia degli inganni. Più la si legge e più si resta sconcertati. Qualche giorno fa abbiamo scritto che la riduzione del cuneo fiscale, intesa nel senso di una riduzione dei contributi versati dal datore di lavoro e dai dipendenti, non c’era più. La strada scelta, infatti, è stata quella di ridurre l’incidenza del costo del lavoro sulla massa imponibile su cui poi si applica l’Irap. Insomma, una detrazione fiscale che aumenterà il reddito d’impresa, ma difficilmente ridurrà i prezzi finali dei prodotti, come probabilmente avrebbe fatto invece la riduzione tout court del costo del lavoro per ciascun dipendente. Questa scelta provoca una forte differenza nei benefici tra le imprese di diversa dimensione. Come il governo sa, già oggi per le imprese con massa imponibile al di sotto di 180mila euro l’anno, e cioè le piccole e medie imprese, c’è un abbattimento della base imponibile su cui si calcola l’Irap, con una deduzione fissa di 8mila euro e di 2mila per ogni dipendente. La nuova deduzione è, invece, di 5mila euro per ciascun dipendente, più gli oneri sociali sempre per ciascun dipendente, valutabili in media in circa 7mila euro l’anno. Per queste aziende (e cioè l’80% delle imprese sui dati del 2005) il nuovo vantaggio sulla spesa per il costo del lavoro rispetto alla normativa vigente è al di sotto dell’1%. Per le grandi imprese, che non avevano deduzioni, il risparmio sulla spesa per il costo del lavoro è, in media, superiore, anche se di poco, al 2% al Centro-Nord e al 3% al Sud.
Morale della favola: l’operazione cuneo fiscale, nei modi in cui viene applicata, favorisce sostanzialmente la grande impresa. Inoltre, la riduzione dell’Irap viene calcolata sul costo del lavoro per i dipendenti a tempo indeterminato. Le medie imprese, però, sono quelle che più fanno ricorso ai contratti a tempo determinato, e per questo saranno sostanzialmente escluse in buona parte dai vantaggi fiscali.
Per dirla in breve, dunque, un’operazione che fa acqua da tutte le parti. In primo luogo non attiva la riduzione dei prezzi dei prodotti finali, come lo stesso Visco ammette quando, per giustificare la strada intrapresa, afferma che la riduzione dei contributi sociali avrebbe fatto «mangiare» il risparmio delle imprese dal maggior prelievo tributario dell’Ire. Quel maggior prelievo tributario, però, ci sarebbe stato solo se le imprese avessero portato ad utile il risparmio sul costo del lavoro, senza trasferirlo sui prezzi finali, riducendoli. A maggior ragione questo avverrà quando l’operazione sarà fatta attraverso una riduzione fiscale dell’Irap. In secondo luogo, l’operazione Visco determina una differenza notevole nel risparmio tra le imprese a seconda del numero dei dipendenti e dei livelli retributivi. Ed allora si capisce bene perché Confindustria, Cgil, Cisl e Uil hanno detto sì a questa operazione, visto che i vantaggi sono in grandissima parte appannaggio della grande impresa, che è molto più sindacalizzata di quelle piccole e quelle medie. Infine, l’80% delle imprese questa riduzione dell’Irap già in larga parte l’aveva. Ad onor del vero tutto questo era già stato detto dal governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, nella sua audizione in Parlamento. Le sue parole, come quelle del presidente della Corte dei conti Staderini, sono state però annegate nel mare magnum di una Finanziaria piena di norme minuziose e ricca di riferimenti ad altre leggi, tanto da creare un ginepraio nel quale diventa difficile districarsi.

La confusione, come si sa, è la madre naturale di tutti gli inganni. Alla luce di quanto abbiamo detto Confindustria e Rifondazione comunista rischiano di fare sempre più solo due parti in commedia con tanto di scontri e di urla.

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