Milano - Dice che ha dormito poco, ma è normale dopo le tensioni che non ha potuto scaricare perché non è riuscito a tirare nemmeno un calcio al pallone. Roberto Donadoni, ct atipico senza curriculum e con l’ombra esagerata di Lippi al seguito, ieri aveva la barba lunga come il suo pensiero: «Se siamo ancora qui a interrogarci sui misteri di una nazionale che vince solo in emergenza, allora siamo rimasti dove eravamo. E non è un bel segnale. Tutto questo mi dà fastidio, significa togliere meriti, questa è una mentalità che voglio cambiare».
Vuole cambiare la mentalità degli italiani?
«Non abbiamo bisogno di un morto e di mega inchieste per vincere, questo è limitativo. Se vogliamo usare questa vittoria per nascondere i problemi allora siamo i soliti italiani. A Glasgow ho visto 50mila tifosi che festeggiavano e cantavano anche dopo l’eliminazione. Magari erano ubriachi ma non sfasciavano i negozi e neppure incendiavano le macchine. Anche questo spero non venga dimenticato in fretta».
Lei che messaggio ha dato ai suoi azzurri?
«Ho fatto capire che c’era rispetto, dicevo quello che pensavo e ho capito che loro lo percepivano bene, non c’era furbizia, se sbagliavo lo facevo in buona fede. Fra noi c’è stato molto scambio, sono cresciuti i rapporti con serietà e onestà».
Intanto ha chiuso la carriera in nazionale di Del Piero...
«Non ho mai chiuso la porta a nessuno. E non mi riferisco solo a lui che peraltro mi ha mandato un messaggio subito dopo la partita. Anche Cassano, ma è meglio che non ve lo legga. Lui quando parla magari sembra incomprensibile, ma quando scrive è molto chiaro. Sono ragazzi che sanno cosa significa vestire la maglia azzurra. Io aspetto che mi mandino dei segnali, le mie valutazioni sono sempre molto concrete, poi ammetto che a parità di condizione ci sono le simpatie. Vieri? Mai fatto questioni anagrafiche, Panucci penso lo dimostri, ma c’è un gruppo di giovani che rappresentano il futuro di questa squadra, Pazzini, Montolivo, Rosina. Lasciare fuori De Rossi comunque mi è spiaciuto, ma scelto quel modulo non c’era spazio per lui. Poi magari uno dopo la partita si accorge di aver scelto il modulo sbagliato, a volte sei talmente compresso che qualcosa straborda. Penso di aver sbagliato tatticamente a impostare la partita contro la Francia, ma anche con Lituania e Georgia».
I giocatori hanno grande stima di lei.
«È l’aspetto che più mi sta a cuore, era il mio primo obiettivo. Fare il ct è strano. Se sei allenatore i problemi con i giocatori li puoi risolvere giornalmente, ma per un ct passa magari anche un mese. Ho visto crescere i rapporti all’interno dello spogliatoio, alcuni episodi mi hanno fatto capire che eravamo sulla strada giusta, non c’è stata una svolta in questa qualificazione e dopo un anno e mezzo posso dire che questa ora la sento come la mia nazionale».
L’isola felice di Donadoni?
«Se siamo riusciti a trasmettere qualcosa di importante. Per ora abbiamo solo centrato un grande obiettivo che ripaga i giocatori di tanti sacrifici. Adesso camminiamo tutti a una spanna da terra, in Scozia la nazionale non aveva mai vinto e andremo all’Europeo con l’ambizione di vincerlo. Anche se tutto questo non ci deve far cadere negli eccessi».
Si è rivisto in televisione... con quell’urlo...
«C’erano dentro quindici anni della mia carriera. Piaccio agli italiani? Non credo che sia un argomento di interesse, adesso è tutto facile dopo sette vittorie e un pareggio consecutivi».
Abbiamo fatto un gran favore alla Francia e magari la incontreremo agli europei: l’ha chiamata anche Domenech?
«Lui no, ma mi aspetto sempre che escogiti qualcosa. Gli europei li reputo difficili quanto un mondiale, mancano Brasile e Argentina ma il livello medio è più elevato e si rischia di incontrare un avversario difficile fin dai primi turni. Per me sono un sogno, in quei giorni tornerò a fare l’allenatore, avrò il gruppo sotto gli occhi giornalmente».
Con Far Oer ci sarà la
«Non esiste. E poi non guardo al passato e penso al futuro, in questo periodo che ci separa dall’europeo posso svolgere quel lavoro che potrebbe fare la differenza. Chi mi è vicino sa che sono molto esigente».
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