Ora i finiani si dividono tra loro: "Divorzio". "No, solo una corrente"

Roma - «Non c’è alternativa: rifaremo An, anche se sarà un po’ riverniciata. E a quel punto potremmo pensare ad una federazione con il Pdl». È un ritorno al passato quello ventilato dai falchi (sempre di meno) rimasti a difesa del nido presidenziale. Perché sotto sotto, dopo le accelerazioni e le «fughe in avanti», contestate pure dai quei 14 senatori che avrebbero dovuto garantire lo zoccolo duro del gruppo autonomo a Palazzo Madama, non intravedono più tanto margine di manovra - con un Cavaliere così tranchant - per evitare che Gianfranco Fini esca «da perdente». A maggior ragione dopo l’«immagine pessima» - virgolettato di un finiano doc, subissato da sms di «protesta» e «vergogna» - fornita venerdì sera da Italo Bocchino e Adolfo Urso a L’ultima parola (verso i quali sarebbe ventilata l’ipotesi di adottare sanzioni disciplinari). Un paradosso, se ci si pensa, visto che la batosta mediatica è giunta durante la trasmissione tv condotta da un giornalista bollato - proprio da loro - come leghista.

Esponente virtuale quindi di un partito su cui il Pdl, parola del capo, non deve più appiattirsi. Ma questa è un’altra storia.
Ciò che emerge - in una domenica di riflessione e relax (Fini è al mare con la famiglia) che non pare portare nulla di buono per gli ex An - è che la prova di forza possa essere un’arma a doppio taglio, per il vecchio leader, nonostante sia forse l’unica per uscire dal cul de sac. D’altronde, a parte il «buonsenso per ricomporre le incomprensioni e i dissidi» chiesto da Altero Matteoli, l’impegno di Renata Polverini perché «non accada» la spaccatura, e la speranza che Gianni Alemanno continua manifestare per la trattativa su un documento unitario da portare giovedì in direzione nazionale, la sensazione è che sia forse già tutto scritto.

In ogni caso, attenendoci all’agenda, si dovrà attendere innanzitutto domani, quando la terza carica dello Stato riunirà a Montecitorio, alla Sala Tatarella, i parlamentari che fanno a lui riferimento. L’occasione giusta per mettere a punto un testo condiviso, un ordine del giorno da presentare due giorni dopo all’assise di via della Conciliazione. Ma senza un’intesa raggiunta nelle ore precedenti, è impossibile pensare che si trovi l’accordo dinanzi ad una platea di 600 persone rumoreggianti.

Così, senza ricomposizione, statisticamente ancora possibile, ci sarà poco da fare. Ognun per sé. Lo fa intendere con chiarezza pure un solitamente moderato Carmelo Briguglio: «Tra le possibili strade che la politica ci offre, esiste anche quella non traumatica di una separazione consensuale tra Fini e Berlusconi, con libertà per tutti di stare da una parte o dall’altra, secondo la propria storia e vocazione politica e la nascita di un nuovo partito di centrodestra che si riconosce nelle idee di Gianfranco Fini, legato da un rapporto di coalizione col partito di Berlusconi e con il governo». Sarebbe «un’opzione possibile e ispirata a grande maturità politica», qualora il presidente della Camera dia il via libera finale.

Si vedrà. Sullo sfondo, infatti, rimane pur sempre lo scenario di una rivisitazione del rapporto di forza tra ex (schema 70% Forza Italia e 30% Alleanza nazionale), in favore di una rimodulazione nella nuova ottica maggioranza-minoranza interne. Lo si capisce anche dalle parole di Urso: «Fini ci chiede di realizzare insieme un progetto all’interno di un partito che ha fondato e nel quale va riconosciuto il suo ruolo» e «non c’è mai stata un’ipotesi di gruppi, ma c’è stata e c’è l’ipotesi di una politica all’interno del Pdl».

Per capirci: «Un percorso unitario è interesse di tutti, altrimenti ci sarà una minoranza interna, in un grande partito plurale». Bene, anzi male. La domanda è: tutto questo casino per far nascere solo la corrente di Fini?

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