da Fort Worth (Texas)
Incontrare Frank Cappuccio, il capo degli Skunk Works, è unimpresa: il governo Usa e la Lockheed Martin non gradiscano che abbia troppi rapporti con i giornalisti e nemmeno che viaggi molto all'estero. Sa troppe cose sui programmi militari più segreti ed è tra i pochi che può trasformarli da sogni in realtà. Non mi sorprende quindi che l'intervista abbia luogo in un anonimo ufficio, senza finestre, all'interno di un'area riservata degli stabilimenti della Lockheed Martin.
Mister Cappuccio, il nome indica radici italiane...
«Mio padre era calabrese, mia madre greca, abbiamo vissuto a Brooklyn e ho frequentato il college a New York».
Da subito affascinato dalle macchine volanti?
«In realtà volevo trovare solo un lavoro che mi consentisse di fare qualcosa di diverso da mio padre, che per anni si era mantenuto facendo scarpe».
E quando è arrivato agli Skunk Work?
«Nel 1979 e ne ho assunto la guida nel 2001».
Quanti siete agli Skunk Works e dove hanno sede i vostri centri di ricerca?
«Mettiamola così, il numero varia a seconda dei programmi in corso, abbiamo tre sedi, la principale a Palmdale, in California, dove si trova il 70% del personale, poi qui a Fort Worth e a Marietta, in Georgia».
Quanti progetti avete in corso? Quanto valgono? Quante proposte di ricerca presentate ogni anno?
«In genere sono circa 300 i programmi in atto in ogni momento. La metà è a breve termine, un anno, il 30% ha un orizzonte di circa 18 mesi, gli altri arrivano a un paio d'anni. Si parte da qualche centinaio di migliaia di dollari e può salire a centinaia di milioni. Presentiamo circa 200 iniziative lanno».
E quante di queste ottengono fondi?
«Abbiamo una percentuale di successo tra l'80 e il 95%».
Tutti i progetti vanno a buon fine?
«Magari, quando si parla di tecnologie così avanzate è naturale una percentuale di insuccesso del 20%. E quando succede restituiamo i soldi».
Qual è il più recente prototipo che avete fatto volare?
«Abbiamo rivelato di aver provato in volo il Polecat, un dimostratore di nuove tecnologie per aerei senza pilota. In genere facciamo volare una nuova macchina ogni due anni».
Ci sono ancora margini di miglioramento nel settore dello stealth, dell'aerodinamica, della propulsione?
«Sì, non si finisce mai di progredire anche se nello stealth si è già fatto molto, ma cerchiamo la invisibilità anche nello spettro acustico e in quello del visibile».
Come?
«Il nostro Polecat ha un sistema per evitare le scie di condensazione ad alta quota. Stiamo anche lavorando a un velivolo supersonico silenzioso».
Sarebbe una rivoluzione anche nel campo dell'aeronautica civile.
«La prima applicazione civile potrebbe essere un aereo business da 10-12 posti, che potrebbe volare a oltre 1.700 km/h senza provocare il boom sonico».
Questo interessa anche ai militari?
«Eccome, ma se è possibile condividere la ricerca tecnologica meglio, poi le applicazioni saranno diverse».
Pensa che gli aerei robotici rimpiazzeranno completamente gli aerei pilotati?
«Non nel breve-medio termine. Vedremo invece una crescente integrazione tra aerei senza pilota e velivoli con equipaggio. Ad esempio un aereo con pilota potrebbe dirigere un branco di velivoli senza pilota.
A che punto siete con gli spazioplani militari?
Il mio interlocutore torna a sorridere e i miei «angeli custodi» mi avvisano che il tempo a disposizione è terminato Sarà una coincidenza?
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