«Ora Prodi se ne vada» Il Polo attende la fine di un governo in coma

da Roma

La lettera di malcontento dei quattro ministri dell'Unione (Pecoraro, Mussi, Ferrero e Bianchi), che chiedono a Romano Prodi, un netto «cambio di rotta» sul Dpef, ha sollevato un vero polverone di reazioni in casa Cdl. «Siamo davanti all’ennesima spaccatura di questo governo», tuonava ieri l’opposizione, «ancora una volta sono gli stessi membri della maggioranza» a rendersi conto che così, di certo, non si può andare avanti. In quelle che sono giornate davvero calde per la politica italiana, mentre regna una situazione di stallo e di improduttività parlamentare (il lavoro delle Camere è praticamente fermo da giorni) denunciata da più fronti, mentre dal capo dello Stato arriva l’invito ad una maggiore collaborazione tra maggioranza e opposizione («c’è troppa tensione in Parlamento»), mentre impervia l’interrogativo «Veltroni sì, Veltroni no» a leader del Partito Democratico, ecco in questa cornice, la missiva dei quattro ministri ribelli prende le sembianze dell’ennesimo fulmine in casa governo Prodi.
Se nella maggioranza, affidandosi alla penna ufficiale del buon portavoce Sircana, ci si accingeva a rispondere «Prodi ha fiducia dei suoi ministri», dall’altra parte si ribadiva «è l’inizio della fine» di questo esecutivo, con una sinistra radicale che, come sottolinea il portavoce di Silvio Berlusconi, Paolo Bonaiuti, «vuole tutto e subito». Davanti a tale ennesimo ostacolo (per di più interno) da superare, secondo Bonaiuti «Prodi ha due scelte: o manda il paese definitivamente a picco o lascia la guida del governo». I quattro ministri criticano il loro collega Padoa-Schioppa? Secondo il vicepresidente di Forza Italia, Giulio Tremonti, non potrebbe che essere così. «Padoa-Schioppa ha dimenticato che accettando il posto di ministro ha accettato anche il programma dell’Unione di cancellazione dello «scalone», conducendo la trattativa con i sindacati come una sorta di «cambiale mefistofelica».
L’esistenza all’interno dell’Unione di una sinistra radicale, che tira la giacchetta al premier chiedendo sempre di «poter dire la propria» e di «avere un peso» effettivo sulle decisioni da prendere, è da sempre vista da parte della Cdl come il reale tallone di Achille di questo governo. Una denuncia fatta più volte, negli ultimi mesi, anche da Silvio Berlusconi: «l’attuale governo è vittima di una sinistra radicale che gli impone le sue scelte e le sue decisioni». Di «bisticci» e «scaramucce», negli ultimi mesi, tra i due figli unici del padre Prodi, ne abbiamo visti davvero tanti. Due esempi eclatanti: questione finanziaria, questione Dico. Con un premier costretto sempre ad indossare le difficili vesti di mediatore, tra l’altro, non sempre riuscendoci. Così, appresa la notizia della missiva esplosiva, dalle varie stanze della Cdl si alzava in coro un «ci risiamo». «Quando nei giorni scorsi il Consiglio dei ministri si è indignato per l’uso da parte di Berlusconi della parola regicidio doveva forse dedicare più attenzione alle manovre in corso. Se da destra si fanno delle battute, nel governo e in tutta l’Unione si sta realizzando un vero e proprio regicidio, ammesso che Prodi sia un re e non un giullare di corte», ironizza il deputato di An, Maurizio Gasparri. E il suo collega, Altero Matteoli, fa una previsione di questo ennesimo ultimatum a Prodi da parte della sinistra radicale. «Probabilmente il premier commissarierà temporaneamente, come nel caso di Visco con la Guardia di finanza, il ministro Padoa-Schioppa, assumendo le deleghe dell’Economia, e così asseconderà le richieste dell’ala massimalista della maggioranza». Per Mario Landolfi, «sul governo è cominciato l’effetto Veltroni: Prodi, politicamente parlando, è sempre più uno zombie».
Se ci si sposta in casa Udc, la musica più o meno è la stessa. «La lettera dei ministri assomiglia a un preavviso di licenziamento e conferma l’incompatibilità delle posizioni nel centrosinistra - bacchetta il segretario Lorenzo Cesa. Quello che i firmatari della lettera non comprendono è che bisogna fare i conti con la realtà». Secondo Cesa inoltre «l’aumento della spesa pubblica di fatto sta bruciando il cosiddetto “tesoretto” e l’eliminazione dello scalone previdenziale servirebbe solo ad accelerare il collasso del sistema pensionistico».

Dopo di che l’affondo: «l’Italia è l’unico Paese europeo dove ministri di un governo danno più retta all’ideologia che ai conti dello Stato. Le conseguenze - conclude - sono sotto gli occhi di tutti. È sempre più ragionevole voltare pagina».

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