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In orbita c’è un ingorgo di satelliti e rottami

Sono 10mila le piattaforme intorno alla Terra e innumerevoli i frammenti a rischio collisione. Non ci sono regole, lanciato l’allarme: «Lassù è l’anarchia»

Giuseppe Marino

Un traffico di almeno diecimila «veicoli», più un numero sconosciuto di mezzi che viaggiano a «luci» spente, niente semafori né vigili urbani e molti guidatori che si immettono in corsia senza guardare se arriva qualcuno. A vederla così, è la descrizione perfetta dell'incubo di ogni guidatore. Ma è anche la rappresentazione realistica del vero e proprio intasamento di satelliti nelle orbite terrestri che sta preoccupando le agenzie spaziali di tutto il mondo. Tanto da spingerle a creare un gruppo di lavoro a livello dell'Onu con l'incarico di stilare una sorta di «codice della strada» orbitale. E, forse perché di ingorghi gli italiani se ne intendono parecchio, a capo del gruppo di lavoro è stato scelto Claudio Portelli, ingegnere dell'Agenzia spaziale italiana ed esperto dei problemi di «ingorghi» orbitali e in particolare dell'affollamento di detriti che rende particolarmente a rischio la «circolazione» dei satelliti: «I rischi sono seri - spiega l'esperto - se non si prendono provvedimenti è a rischio l'intera ricerca spaziale del futuro».
Per capire cosa stia succedendo sopra le nostre teste, bisogna intanto spiegare che ci sono due tipi di possibile posizionamento per i satelliti. L'orbita geostazionaria è un sottile anello intorno all'equatore a 36.000 km d'altezza, nel quale sono parcheggiati circa 700 «oggetti», contando cioè sia i satelliti in funzione che quelli ormai «morti». Terminato il propellente infatti, non si può più controllarne la posizione che resta in balìa dalle forze gravitazionali. L'altra possibilità sono le orbite eliosincrone, disposte su vari piani a 600-1.000 km d'altezza, ma tutte molto vicine ai due poli, i cui cieli sono dunque luoghi particolarmente affollati.
In totale dunque lo spazio che circonda il pianeta è affollato da 9-10.000 oggetti, di cui solo il 10% è ancora attivo. Il doppio circa, 20.000, sono i satelliti che invece sono ricaduti sulla Terra da quando sono iniziati i lanci a oggi (la partenza del primo Sputnik sovietico risale al 7 ottobre 1957). Certo lo spazio è grande e il numero dei lanci non è più al livello dei picchi degli anni '70 e '80, se ne contano comunque mediamente circa 400 l'anno e le orbite sono limitate. E soprattutto, sono praticamente un far west: «Non c'è un organismo di controllo del traffico spaziale - spiega Portelli - ciascuno studia la propria orbita secondo le proprie esigenze e spera che non entri in collisione con altre». Perfino il lancio avviene al buio: giapponesi e americani sono gli unici ad effettuare un monitoraggio dell'affollamento dei cieli per controllare che la strada sia sgombra. Gli altri si affidano alla sorte, Italia compresa. Sono possibili incidenti? «La storia ne registra due "gravi" - spiega Portelli - Man mano che l'affollamento aumenta però sono sempre più probabili». Il primo scontro risale al 1998: un satellite dell'Università del Surrey fu colpito da un detrito che gli tranciò di netto uno strumento piazzato su una lunga asta, bloccando la missione. Nel 2005 lo scontro avvenne invece tra due oggetti ormai in disuso. Nessuna missione danneggiata, dunque, ma anche uno scontro del genere porta conseguenze negative sulla «circolazione» orbitale: l'urto spaccò i due oggetti in 5-6 pezzi, moltiplicando il numero degli oggetti abbandonati a se stessi e quindi pericolosi per altri satelliti. Si tratta dei cosiddetti detriti spaziali. «Stime attendibili - spiega l'esperto dell'Asi - valutano in 100.000 gli oggetti "invisibili", cioè di dimensione inferiore a 10 cm e quindi non avvistabili da Terra, che galleggiano nello spazio orbitale». Sono gli stadi che si sganciano nelle varie fasi di ciascun lancio, oppure pezzi di satelliti che si sono sbriciolati per l'usura. Ma non è tutto qui: perché se si contano gli oggetti inferiori a un centimetro, il numero dei detriti sale alla stratosferica cifra di 35 milioni. E non bisogna pensare che la dimensione li renda inoffensivi. Un pezzetto di vernice della copertura di un satellite, scagliato a 28.000 km all'ora diventa più distruttivo di qualunque proiettile. L'unica differenza è che, contro frammenti così piccoli, è possibile difendersi rafforzando gli schermi protettivi del satellite, il che però aumenta i costi e il peso, diminuendo quindi la durata del propellente e quindi la «vita» dell'apparecchio. A tutto questo va aggiunta un'ulteriore considerazione: i dati conosciuti, che alcune agenzie spaziali stanno cercando di mettere a disposizione in un catalogo online, non comprendono il traffico militare. «Sui satelliti di questo tipo - spiega Portelli - non si sa assolutamente niente. Tutto top secret: nessun Paese comunica informazioni, nemmeno in situazioni di pericolo». Così qualche tempo fa si sfiorò l'incidente diplomatico quando la stazione spaziale russa Mir venne sfiorata da un satellite militare americano. L'oggetto volante fu identificato all'ultimo istante e si rischiò la collisione. Gli americani si erano ben guardati dal segnalare alcunché. Del resto, anche quando le segnalazioni di possibile collisione arrivano per tempo, non sempre i comportamenti delle agenzie sono conseguenti. La complessa e dispendiosa (in termini di carburante) manovra di «collision avoidance», il cambio di rotta, viene eseguita solo da alcuni titolari di satelliti. Nell'elenco dei «virtuosi», ancora una volta non rientra l'Italia.

Cosa si può fare per cambiare la situazione: «Innanzitutto approvare le linee guida elaborate dal gruppo di lavoro Onu per prevenire la dispersione di oggetti e migliorare», raccomanda Portelli. Ma non tutti ci stanno. Come per l'inquinamento terrestre, ci sono in gioco maggiorazioni di costi che alle industrie proprio non piacciono.

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