Roma - Ore 13.42: la fiamma si spegne definitivamente, smorzata dalle parole di Ignazio La Russa. «Da questo momento An si scioglie, il suo statuto non è più in vigore». Quattordici anni di Alleanza nazionale e cinquanta di Msi finiscono nella biblioteca dei ricordi. Testimoni: gli oltre mille e ottocento tra delegati e invitati, la cosiddetta base, consapevole che la strada della fusione è segnata. Una base assetata di un ultimo richiamo alle radici, alla propria identità.
In platea c’è voglia di emozionarsi e qualche occhio lucido si vede quando il tremante Tremaglia prende la parola: «Sono profondamente commosso – confessa –. Tutta la mia vita è stata il Msi, poi An e gli italiani all’estero». E il popolo di Alleanza nazionale, ora Pdl, diventa curva da stadio: «Mir-ko, Mir-ko, Mir-ko». Poi Tremaglia cita uno scritto del figlio Marzio, scomparso nove anni fa, e un militante grida «Onore a te!». Il «camerata» resta in gola. Servello ammette: «Risento il clima di Fiuggi».
La curiosità per il discorso di Fini è tanta. Si spera di sentire il capo partito piuttosto che il presidente della Camera. «Parlerà a braccio? Speriamo». La pancia di An ha voglia di qualcosa di forte, non di analcolici. Ha voglia di porchetta, non di nouvelle cuisine. Va bene Gasparri, forse uno dei più berluscones della dirigenza, ma comunque capace di titillare il militante. Parla del futuro: «La destra non chiude - assicura -. I suoi valori aprono le ali». E giù applausi. E parla del passato: «Voglio dire grazie al presidente della Repubblica che ha ricordato le vittime di tutti i terrorismi, compresi i nostri caduti», grida sventolando un libro con le foto dei missini ammazzati. Ed è boato. «Bruno Vespa recentemente ha fatto un titolo che non ci piace: “Chiude la destra”. No, la destra non chiude». Ore 11.30: applausi per Gasparri e pure per Fini, entrato in quel momento nel megapadiglione della fiera, cimitero della sua An.
Ma di nostalgie non vuol parlare neppure l’applauditissimo sindaco Alemanno, anche se «il primo saluto va ai militanti a cui dico “è bello guardarsi in faccia”». Cita le «battaglie che ci hanno formato, quelle degli anni Settanta e Ottanta» e accarezza l’orgoglio dei missini d’antan tutto Dio, Patria, famiglia. Parla della competizione col Carroccio: «Dobbiamo stare attenti perché se il Pdl non avrà i valori della destra rischiamo di consegnare tanti voti alla Lega», grida. E la base si entusiasma. Indica la strada: «Dobbiamo camminare in cresta, tra due abissi contrapposti. Da una parte quello della xenofobia e dell’estremismo, dall’altra quello di farsi condizionare dai salotti buoni e dalle élites dominanti».
E l’anima sociale del partito viene a galla in un tripudio di battimani e «sììììì». Poi la stilettata agli avversari: «Non sono più comunisti, sono diventati luogocomunisti, difendono solo luoghi comuni ereditati dal passato». In sala, Ermete Realacci abbozza.
Alemanno rincara la dose: «E bisogna liberare l’Italia dai troppi cretini ancora al comando, che sono impegnati a bloccare ogni innovazione». L’ultima ovazione che si trasforma in boato è sulla Turchia: «perplesso per l’entrata in Ue». Poi sono lacrime e abbracci. Tra poco la parola passa al capo, a Fini. L’ultimo soffio sulla fiamma è il suo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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