Ormai non c’è più spazio per i furbetti della politica

Caro Granzotto, ma cosa vuole Casini? Ha dichiarato «a muso duro» che i saldi di fine stagione non gli interessano e non farà sconti a nessuno, e di conseguenza: «Non voteremo la fiducia né a Veltroni né a Berlusconi e non saremo disponibili ad alleanze in Parlamento che non siano state fatte prima del voto». Ma cosa vuol dire? S’è mai visto uno che intende andare in Parlamento col solo intento di essere «contro» sia a un governo di destra sia a uno di sinistra? E poi, il reclutamento in lista della principessa Borghese è così da mezzacalzetta snob...


A differenza di Mastella, vecchio drago della politica che ha deciso di saltare il turno, Casini non ha capito l’aria che tira, caro Corti. Crede, o meglio s’illude, che il contesto, il «sistema» politico, sociale e culturale sia ancora quello della prima Repubblica. Non si è accorto che dei balletti e dei giochini di quelli che potremmo definire i furbetti della mansarda del Palazzo, l’opinione pubblica - il corpo elettorale - non ne vuole più sapere. All’inizio piacevano perché davano alla mappazza della politica quel tocco di pluralismo, di signorilità, tale da renderla meno indigesta (e fu il momento magico dei partiti «laici», il Pri, il Psdi, il Pli e, per ultimo, il Partito Radicale). In seguito li si tollerò come un male necessario, tant’è che nessuno pianse la dipartita di alcuni di loro o salutò in modo particolarmente festoso l’emergere di nuovi. Infine, a renderli invisi del tutto è stata la disgraziata esperienza del governo Prodi, al quale i furbetti della mansarda del Palazzo gliene hanno fatte più di Carlo in Francia. Prodi se ne meritava ben altre, questo va da sé, ma a nessuno che abbia la testa sulle spalle fa piacere vedere il Paese andare a catafascio per l’insolenza di quattro gatti con pretese inversamente proporzionali al loro peso politico-elettorale.
Fatto sta che la voglia di governabilità da un lato e di stabilità dall’altro, ha originato quella collegiale voglia di bipartitismo che subito s’è tradotto in pratica (e il primo a reagire è stato il Cavaliere, mostrando di saper meglio di altri interpretare gli umori del Paese) con la formazione del Piddì e del Pidielle a vocazione maggioritaria e nazionalpopolare. Ed è evidente, questo è il punto che Casini non vuole capire, che col bipartitismo non c’è spazio per il mitico «centro». Non c’è spazio per il «partito di nicchia» o, Dio ne guardi, «di opinione». Non c’è spazio per i furbetti della politica. Col bipartitismo si sta o di qua o di là. Sono in grado di sopravvivere al bipartitismo formazioni molto personalizzate (la Lega e la sinistra radicale) che possono contare su uno zoccolo duro di seguaci, in quanto al restante saranno gli elettori a fare giustizia.

Casini è persona ammodo e simpatica, ma con quel suo «non faremo sconti a nessuno», con quel suo «non saremo disponibili ad alleanze in Parlamento» (come se il Parlamento non ne fosse il luogo deputato) che così fortemente puzzano di prima Repubblica, di smania autoreferenziale (e di ricattuccio da bouvette), è facile prevedere che avrà qualche problema con la soglia di sbarramento. Anche mettendosi a cavalcioni di principessine boriosette anzichenò. Viene da dire, con Teofilatto dei Leonzi, l’indimenticabile cavaliere bizantino dell’Armata Brancaleone: «Ti vedo e ti piango».

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