Medicina

Pace-maker efficaci e sicuri

«Le nuove tecnologie di cardiostimolazione - afferma il professor Spinella - offrono una vita migliore»

Ogni anno, in Italia, si impiantano 55mila pacemaker, numero che sale ad oltre 70mila se si includono anche i defibrillatori impiantabili. Questi strumenti salvavita rappresentano una delle più grandi evoluzioni, sotto l’aspetto dell’efficacia, nella terapia dell’aritmia cardiaca.
«Come si sa, il cuore è l’organo centrale dell’apparato circolatorio», spiega il professor Giovanni Spinella, presidente di Conacuore, coordinamento nazionale associazioni del cuore, che riunisce attualmente 109 associazioni impegnate nella lotta alle malattie cardiovascolari (www.conacuore.it). «Il suo funzionamento è simile a quello di una pompa: contraendosi ritmicamente sotto impulsi elettrici, spinge il sangue in tutto l’organismo. In alcune persone, tuttavia, per molteplici cause, può capitare che il cuore perda il ritmo e si contragga troppo lentamente. Un cattivo funzionamento che può manifestarsi con sintomi quali affaticamento o vertigini, oppure rimanere silente, ma che può avere come conseguenza estrema l’arresto cardiaco. Applicato con un semplice intervento di chirurgia (si esegue in anestesia locale e richiede solo da un giorno fino a due o tre di ricovero), il pacemaker cardiaco offre una grande e decisiva “chance” per la qualità della vita».
Monitorando il battito, l’apparecchio aiuta il cuore a «mantenere il passo», riducendo significativamente i rischi associati alla patologia: «Gradualmente, dopo l’intervento - dice Spinella - è possibile tornare a uno stile di vita personale, familiare e sociale decisamente soddisfacente, pur con qualche lieve limitazione».
I benefici, insomma, sono di gran lunga superiori agli eventuali potenziali rischi e fastidi. E i numeri parlano chiaro: «A dover essere sostituiti, per un qualche difetto, sono solo lo 0,005% degli apparecchi», sottolinea l’esperto. «Una percentuale bassissima, che finora ha prodotto, tra l’altro – mi preme sottolinearlo - solo qualche disagio, ma nessuna vittima. Purtroppo, campagne lanciate periodicamente da alcuni mass-media tendono ad esagerare il problema, creando inutili e controproducenti allarmismi». È quanto è successo di recente per il caso di una paziente che, dopo essersi sottoposta a un impianto di pacemaker nel 2001, ha manifestato nel corso del tempo diversi malesseri che hanno portato, dopo qualche anno e in seguito all’aggravamento dei sintomi, ad un nuovo intervento e alla conseguente scoperta di un cattivo funzionamento dell’apparecchio, risultato difettoso. «Un caso che richiede sicuramente solidarietà e partecipazione, ma che è comunque da ritenersi abbastanza infrequente, per non dire raro», commenta il presidente di Conacuore. «Problemi di questo spessore sono competenza delle autorità sanitarie (a cominciare dal ministro della Salute). E la classe medica che in Italia si occupa di queste situazioni mi pare sia stata storicamente in grado di gestirli».


L’evoluzione tecnologica di questi strumenti salvavita è stata notevolissima: «I primi pacemaker, costruiti negli anni Cinquanta, erano esterni e molto ingombranti - osserva Spinella - quelli di ultima generazione, invece, posizionati in una tasca sottocutanea, non superano i 3-4 centimetri».

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