Padre Bossi, il missionario che sfida il pericolo: torna fra i poveri di Manila

Il superiore del sacerdote rapito: «È bello essere pazzi per Dio»

nostro inviato a Manila

«Sì, stare qui è pericoloso ma è bello essere pazzi per Dio». E le poche parole raccontano meglio di mille dettagli come e perché padre Bossi sia già pronto a tornare sulle isole del Pacifico in cui è stato prigioniero per quaranta giorni. A spiegare il senso dell'essere missionario in una terra di conflitti religiosi accesi e contraddizioni economiche violente è padre Gianni Sandalo, responsabile del Pime nelle Filippine, il superiore del sacerdote di Abbiategrasso la cui gigantografia ha sventolato per settimane sul Pirellone e che ora la Regione vuole onorare con un premio per la pace. Roberto Formigoni lo annuncia da Manila in giorni difficili, subito dopo l'attentato al Parlamento delle Filippine. Il presidente della Lombardia ha incontrato il cardinale Rosales e padre Sandalo in colloqui che hanno riportato la mente al rapimento, alle trattative, all'ombra mai scomparsa del riscatto.
«Non si saprà mai esattamente chi l’ha rapito. Io non so se qualcuno ha pagato e quanto. Come Pontificio istituto delle missioni estere non abbiamo pagato nulla. Certo che qualche cosa può essere stata fatta...», racconta padre Sandalo, che da seminarista di Saronno è venuto a vivere in queste terre ventidue anni fa e non è più ripartito. Un'esistenza spesa per gli altri.
«Adesso aspetto a breve il ritorno di padre Bossi», sorride con la fiducia che tutto è andato e continuerà ad andare per il meglio. Il sacerdote di Abbiategrasso non tornerà nell'isola di Mindanao, nella cooperativa agricola che era il suo sogno di missionario, ma rimarrà a Manila, tra i volontari della comunità di Maria Regina degli Apostoli. Sarà destinato alla baraccopoli di Paranake, milioni di senza tetto accalcati nel cuore di Manila, la capitale dei contrasti, piena di palazzi faraonici e centri commerciali che si specchiano su fatiscenti case di lamiera.
Padre Sandalo racconta come da queste parti sia quasi la regola rischiare la libertà e la vita per aiutare la popolazione in difficoltà e diffondere il Vangelo. «Perché hanno rapito padre Bossi? Non lo so, forse perché è una situazione in cui è normalissimo che possa accadere». La missione del Pime è nelle Filippine da 40 anni e nel 1985 ha visto il suo primo prete ucciso, un altro sacerdote è morto nel ’92. Più di recente due rapimenti, uno durato sei mesi e l'altro due.
Quando è scomparso padre Bossi, don Sandalo ha temuto: «All'inizio l'apprensione è stata grande, di notte mi svegliavo di soprassalto a ogni rumore. Ma è stato tutto molto veloce. Dopo un'ora l'unità di crisi si è messa in contatto con me. Il governo italiano ha operato al meglio. Alla paura è subentrata la speranza». Forse i momenti più difficili sono stati proprio quelli decisivi della mobilitazione: «C'è sempre il timore che i rapitori alzino il prezzo quando l'ostaggio diventa un caso noto».

E poi la disinformazione involontaria dei Filippini: «Raccontavano cose non vere, che padre Bossi fosse malato di cuore o altre notizie false. Ma arrivavano lettere e messaggi continui dall'Italia. Tutti hanno pregato molto». Adesso qui a Manila è di nuovo tempo di ordinario pericolo. E presto anche padre Bossi tornerà a fare la sua parte.

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