Roma

Un padre disperato sale sulla gru: «Salvate mio figlio»

L’uomo, un gendarme romeno, è rimasto per tutta la notte sospeso a trenta metri d’altezza. È sceso solo dopo aver ottenuto l’impegno scritto dei medici di Tor Vergata

Alessia Marani

Nove ore su una gru alta trenta metri, minacciando di gettarsi nel vuoto se medici e autorità non avessero garantito i tempi d’intervento sul figlioletto di 4 anni, malato di talassemia, bisognoso di un trapianto di midollo osseo per potere continuare a vivere. La disperazione ha spinto Ionel Strambione, 30 anni, agente della gendarmeria romena, intorno all’una di martedì, a lasciare moglie e figlio per salire sul braccio meccanico di un cantiere edile aperto in via di Tor Vergata, accanto al Policlinico dove il bimbo dovrà essere operato. Disposto a tutto, Ionel. Anche a rinunciare alla propria vita pur di potere dare un futuro al piccolo Giustin Marian.
Storia di disperazione e di lungaggini burocratiche che per poco non rischiavano di vanificare il viaggio della «speranza» degli Strambione da Bucarest a Roma. O almeno così pensava papà Ionel. Solo dopo quasi dieci ore di estenuanti «trattative», lo straniero convinto da un impegno scritto del primario ospedaliero, con tanto di garanzia del console romeno nella capitale, ha finalmente rimesso piede a terra, «scortato» dai carabinieri, aiutato dai vigili del fuoco e riabbracciato finalmente dalla consorte, Nicoleta, e dal suo tesoro impaurito.
«Ionel - spiega il tenente Roberto Del Ferraro - temeva che non si stesse facendo del tutto per risolvere la situazione del figlio. I tempi d’attesa lo avevano terrorizzato. Non riusciva più ad avere fiducia in quello che sanitari e autorità governative che dovranno finanziare l’operazione, gli dicevano. Non è bastato nemmeno correre a prelevare dalla sua casa e portare sul posto il professore che sta seguendo la vicenda di Giustin in prima persona per calmarlo. Solo dopo l’intervento dell’Ambasciata e la garanzia scritta ad avviare il ciclo terapeutico entro i primi giorni di agosto, ha desistito».
Da circa una settimana gli Strambione erano approdati in Italia, in tasca un permesso di soggiorno per ragioni sanitarie. Nel paesino di Ploiesti, a 70 chilometri a nord da Bucarest, dove vivono i tre, per lo stesso motivo Ionel aveva chiesto l’aspettativa dall’incarico all’Unità militare romena per cui presta servizio. Un solo obbiettivo: combattere la terribile anemia mediterranea che affligge Giustin dalla nascita e per cui è indispensabile, oramai, il trapianto di midollo. Ma le condizioni economiche della famiglia non permettono di affrontare simili spese, tanto più che in Romania non esistono strutture in grado di offrire assistenza e interventi specifici. Ionel e Nicoleta si appellano al loro governo, ottengono di potere rientrare nei termini di una speciale convenzione tra Italia e Romania per la prevenzione e la cura della talassemia. A Roma se ne occupa l’Ime, l’Istituto mediterraneo di ematologia di Tor Vergata, guidato dal professore Guido Lucarelli. Qui è già attivo un altro progetto, Emo-Med, di affiancamento e aiuto dei paesi poveri del medioriente: Irak, Iran, Egitto... Ionel avvia le pratiche per la richiesta. Tramite il consolato prende casa nel quartiere di Primavalle. Ma le cure per il figlio non iniziano subito. E i fondi romeni tardano ad arrivare. All’Ime lo rassicurano: «Ci vogliono tempi tecnici, tutto sta andando per il verso giusto. Non si preoccupi». Ma Ionel, gendarme che di casi di corruzione e malasanità ne conosce a iosa, non si fida. L’altra sera l’impulso di scalare quella gru fino a piazzarsi là sopra. «Non vi credo» continuava a gridare in un italiano stentato. Neppure a un connazionale, operaio del cantiere, ha dato ascolto. Schierati sotto i carabinieri della stazione di Giardinetti e della compagnia di Frascati, i pompieri, l’ambulanza del 118.

Solo quando verso le 9,30 del mattino, i pompieri sono saliti da lui con l’autoscala per portargli il documento tanto atteso, si è lasciato riportare a terra.

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