Di un fatto ormai si sono accorti tutti: non cè più tempo, Alitalia non può aspettare. Il rischio è di trovarsi, improvvisamente, un giorno, con gli aerei a terra, lItalia paralizzata, gli aeroporti messi a ferro e fuoco. La crisi viene da lontano - almeno dieci anni - ma lItalia dellultimo momento se ne sta rendendo conto oggi.
Di soluzioni ce nè più duna: ne manca una sola, la principale. Alitalia non potrà più essere se stessa, e procedere il suo cammino in autonomia. Qualcosa dovrà giocoforza accadere. Con un colossale paradosso: se ne stanno occupando gli stessi politici che negli anni hanno contribuito ad affossarla.
La prima soluzione è la cessione ad Air France. Dura, dolorosa. Un tricolore sotto a un altro tricolore, un padrone a Parigi che decide, più o meno, come e dove devono muoversi gli italiani. Ridimensionata, umiliata: ma viva. Lazione daccetta di Air France intende potare drasticamente lalbero sperando che germogli ancora, eliminando tutte le parti secche, ovvero improduttive: la scommessa è il mercato. Gli italiani vogliono e devono viaggiare, se la «nuova» Alitalia saprà offrire un servizio efficiente e soddisfacente, riprenderà quota.
Laltra soluzione in questi giorni sulla bocca di tutti è il commissariamento. Senza ormai più soldi per pagare carburante e assicurazioni, la compagnia potrebbe essere avviata allamministrazione straordinaria in base alla legge Marzano per le grandi aziende in crisi (i presupposti di dimensioni e indebitamento ci sono). Non sarebbe il fallimento, improbabile tout court, ma provocherebbe comunque un trauma devastante: prima di congelare i debiti, tentare il risanamento o venderla, in tutto o in parte, nessuno potrebbe impedire lo choc degli aerei a terra, quello stesso che patirono svizzeri e belgi quando «persero» le loro Swissair e Sabena. Ma, si ricordi sempre: lItalia è lunga e stretta, non si può girare in bicicletta.
La terza soluzione, impetuosamente riemersa nelle ultime ore, è quella di una cordata italiana che rilevi, sulla spinta dellorgoglio nazionale, la compagnia. Ma la spinta che muove gli imprenditori, se sono tali e non giocatori dazzardo, è la lucida ragione, non il sentimento. Forse è questo il motivo che ha tenuta lontana tutta la classe imprenditoriale nazionale da unincandescenza come Alitalia: la ragione dice che è unazienda decotta, incapace di essere efficiente, perdite sicure, chi tocca i fili muore. Si sono spese tante parole, ma nessuno ha messo un soldo. Ci ha provato, lui sì, determinato, Carlo Toto, presidente di Air One, la seconda compagnia italiana. Ma il suo piano industriale non ha passato lesame: tante belle promesse, aerei, Malpensa, sistema multibase, network... Ma tutto con soldi a prestito, da parte di un operatore che riempie gli aerei a metà, minuscolo rispetto a un boccone così grande e indigesto: compro a debito una voragine di perdite. E come ripago il debito? Anche la grande alleata di Toto, Intesa Sanpaolo, sembra intiepidita; e nel tempo questo nucleo originario non ha saputo aggregare nessuno di più. Lo stesso piano industriale di Air One oggi è superato: nel frattempo è accaduto un fatto che ha profondamente trasformato Alitalia. E cioè lhub è stato trasferito da Malpensa a Fiumicino, e il nuovo network di collegamenti sarà operativo a fine mese. Indietro non si torna.
Qualcuno potrà obiettare: ma se Alitalia viene regalata ai francesi, non se la può prendere, con un solo centesimo in più, qualcuno di casa nostra? È vero, potrebbe. Ma sarebbe un affare solo potendo avere mano libera - come e peggio di Air France, tagliando e vendendo pezzi - senza dover sottostare a vincoli politici e sociali. Chi se la sente di far la parte dello squalo?
Lultima soluzione, più nazionalista che patriottica, è il mantenimento di Alitalia nellambito pubblico: semplicemente, non è possibile. Le norme europee impediscono gli aiuti di Stato, che hanno una logica di sostegno e non di mercato, e inquinano la concorrenza.
Paolo Stefanato
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