Carissimo Granzotto, fra le tante cose sentite nel clima del centocinquantesimo anniversario dellUnità dItalia ce nè una che mi ha veramente stupito e che ancora mi chiedo se risponde a verità. Mi riferisco al fatto che Giuseppe Garibaldi fosse un rubacuori, collezionando decine di amanti oltre a qualche moglie. Ma come? E allora la storia che ci hanno sempre raccontato dellamore sempiterno per leroica Anita e della fedeltà anche alla sua memoria? Altre balle?
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Bé, no, caro Foresi, caso mai si potrebbe parlare di reticenza, di cura degli agiografi nel sottacere certe umane debolezze di un Padre della Patria. Mica si poteva convenire che il fulgido disinteressato eroe, che luomo del «Qui si fa lItalia o si muore», di «O Roma o morte» per non parlare dell«Obbedisco!», fosse uno sciupafemmine. Invece lo fu, orpo se lo fu. Si diceva che avesse avuto più donne di quante Camicie rosse a Calatafimi. Anche perché andava per lo più per le spicce: una via laltra. In ciò favorito da una liberale - mi verrebbe voglia di scrivere democratica - mancanza di pregiudizi. Gli andavano bene tutte, belle e brutte, alte e basse, magre e in carne, bionde e more. Certo, è noto che Garibaldi fu gallo più da pagliaio che da alcova profumata, tantè che le sue preferenze andavano a cameriere, lavandaie e contadinette. Però davanti a una contessa non si tirava certo indietro e anzi, partiva allattacco. Si ricordano, di parte aristocratica-intellettuale, la contessa Maria Martini della Torre, che per il bel Peppino mollò il marito. Quindi, così, alla rinfusa, la moglie di George Byron, Anne Isabel; Emma Roberts, bruttarella ma assai ricca; la risoluta virago Esperance Brand; la signora Mary Selly e la signorina Deidery, per non dire poi della «Venere in marmo caldo» Louise Revoil, maritata Collet, amante ufficiale (oltre che dellEroe dei due Mondi, va da sé) di De Musset, Flaubert, Maupassant e Alfred de Vigny.
Del genere giovani e polpose plebee si menzionano fra le molte Battistina Ravello (che gli diede una figlia, Anita), una nizzarda di diciassette anni giunta a Caprera in qualità di fantesca per restarvi poi a lungo in quella di più volte cornificata concubina. Laltra nota bella guagliona è lastigiana dorigine armena Francesca Armosino, anchella stanziatasi a Caprera come camerista tuttofare e che nel giro duna decina danni scodellò al sessantenne generale Clelia, Rosa e Manlio. LArmosino fu anche la terza moglie di Garibaldi. La prima, ovvio, fu la brasiliana Anita Ribeiro da Silva, morta, come simpara sui banchi delle elementari, a Mandriole di Ravenna. La seconda fu lardente marchesa Giuseppina Raimondi. Doveva saperne una più del diavolo, la marchesina, perché ottenne dessere impalmata dalluomo che, avendo sposato la causa, altre consorti fra i piedi non ne voleva. Ma fatto sta che nel gennaio del 1860 i due si unirono in matrimonio in quel di Fino Mornasco. Giusto il tempo daver pronunciato il «sì» che Garibaldi fu raggiunto da un ansimante suo devoto, palesemente seccato dessere arrivato sul luogo in ritardo, seppure di pochi minuti. Costui consegnò al generale un biglietto. Garibaldi lo lesse, si fece torvo e rivolto alla neo moglie sillabò: «Signora, apprendo ora che siete una puttana. Addio». Girò i tacchi e scomparve alla vista. Lautore del biglietto sera pregiato di informare Garibaldi che la vispa Giuseppina era in attesa di un figlio dal bergamasco Luigi Caroli, chella aveva seguitato a frequentare sebbene promessa sposa.
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