Cosa fa un bimbo di otto anni sul ciglio della vertigine nella mente di un genio? Si diverte, nella luce di unalba unanime allinfanzia e al genio. Con nessun altro al mondo Josè Van Roy Dalì si divertì come con il padre Salvador e la madre Gala che chiama col suo vero nome, Elena. E lo spiega nella biografia Il figlio del venditore di sogni (PensieriParole, pagg. 384). È il primo di tre volumi concepiti quasi in forma darte perché Josè ha nel cuore i cromosomi di Salvador e Gala che vorticano silenti rispetto al rumore in cui il padre visse; silentemente dipinge, annota poesie dedicate ai suoi ventiquattro gatti, al suo cane ma soprattutto alladorata moglie Barbara con cui vive in una casa ai Castelli Romani. Josè (nato il 17 febbraio 1940) conobbe Salvador a otto anni, perché prima la sua famiglia fu una coppia di tutori veronesi a cui i genitori lo lasciarono alla vigilia della partenza per lAmerica. Ma poi Salvador ritornò.
Come giocava suo padre?
«Era un birbante. Quando stavo con lui non potevo mai abbassare la guardia perché era uno scherzo dopo laltro. Una volta nella casa in Spagna mi portò vicino allorso impagliato. Prese un tubo di gomma, lo infilò nella bocca dellorso, si nascose e cominciò a urlare: Aiuto, Josè, aiuto, sono finito dentro alla pancia di questo animale!. Nutriva un candore appassionato per gli animali. Una volta mise tutti i nostri mici dentro al pianoforte con la testina di fuori e cominciò un concerto molto divertente».
Cosa desiderava da lui?
«Che mi rivelasse il mistero della sua arte, che mi permettesse di rimanere nello studio mentre dipingeva per poter carpire i suoi segreti. Non lo fece mai. In quello studio al centro della nostra casa, quando rimaneva con la tela, io sentivo scorrere la sua essenza che si condensava nellunico anelito di un genio: la bellezza. Usciva e la sua vita diventava un teatro. Oggi la gente lo ricorda nelle immagini più eccentriche con i baffi allinsù e gli occhi sgranati al limite della follia, ma il suo modo di esistere era teatrale eppur semplice. Mi ricordo le risate e le chiacchierate con i pescatori in Catalogna quando il mattino gli portavano i cartocci di pesce fresco».
Di lui qualcosa è andato perduto? E cosa è stato tradito?
«Perdute le sue poesie. Tradite tante cose. Si parlò della sua relazione gay con García Lorca. Non credo sia stato vero. Mio padre amò solo mia madre. Tra loro scoccò il classico colpo di fulmine. Lei abbandonò il poeta Paul Éluard perché la tradiva e fuggì con papà. Non ho mai visto un tratto di malinconia sul volto di quelluomo se non quando Elena morì. La sua morte fu la fine di lui. Lei era il suo sostegno, la sua ispirazione, lordine da cui entrava la corrente del suo genio. Francisco Franco dichiarò che avrebbe voluto possedere due quadri di mio padre e allora Dalì fu accusato di fascismo. È facile fare la storia con chi non si può difendere. Lultima volta che lo vidi, nell85, non era più in sé. Emetteva solo suoni gutturali ma mi riconobbe e mi abbracciò. Dissero che fosse stato colpito dal Parkinson ma io penso fosse Alzheimer».
Dalì scocca la frusta della vertigine in due tele, il Cristo di San Giovanni della Croce e lAscensione di Cristo. Qual era il suo rapporto con laldilà e la religione?
«A volte abbiamo tentato di parlarne, ma era renitente. Pur essendo un ferreo amante della matematica, era sempre attratto dallinconoscibile. Chiamava mia madre la strega della domenica perché leggeva i fondi del caffè e aveva alcune premonizioni sul futuro. La Cadillac che usavano a Montecarlo aveva la targa 8942. Una volta lei disse: L89 è lanno in cui morirà Salvador e 42 gli anni che avrà Josè quando io morirò. Così fu. Lui era letteralmente stregato da questa dote».
Lha più sentito vicino dopo la sua morte?
«Sì.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.