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Dal Papa al Colle, vince sempre l’ottimismo Da Benedetto XVI e dal presidente Napolitano un appello alla fiducia nonostante uno scenario «sconvolgente» «Impegno», «sforzo» e «sfida» le armi per reagire. Perché «il 2009 sarà duro ma non dobbiam

RomaUn inverno freddo, poi una primavera che non riuscirà a scaldare il Belpaese. Sì, è vero, quest’anno ci sarà molto da fare e poco da scherzare, perché, come dal Quirinale spiega Giorgio Napolitano, quello che ci aspetta è uno scenario economico «sconvolgente e senza precedenti», una situazione che richiederà «lo sforzo di tutti», un’Italia che «conoscerà nuove povertà». E ci sarà da lavorare parecchio, da buttare molta legna sul fuoco, come da San Pietro ammonisce Benedetto XVI: «Il 2009 sarà duro e non basteranno i rattoppi. La crisi economica globale va letta in profondità». Per superarla occorrono «una grande impegno e una revisione radicale del modello di sviluppo». Insomma, un periodaccio.
Eppure, in mezzo al realismo delle cose, ci sono tre parole-chiave che emergono dai discorsi pronunciati a Capodanno dal Colle e dal Cupolone: unità, fiducia, ottimismo. E c’è «apprezzamento» a Palazzo Chigi per il messaggio di Napolitano, che Silvio Berlusconi considera «un sostanziale riconoscimento» all’operato del governo sia pur mitigato dal tono «necessariamente imparziale» imposto dal ruolo.
E sì, ragazzi, la situazione mondiale è quella che è, però il nostro destino non è già segnato. «Ci attendono prove ardue - dice infatti il capo dello Stato - eppure l’Italia può farcela. Anzi, come è successo dopo la guerra e dopo il terrorismo, dalla crisi può uscire un Paese migliore». Il Papa non solo è d’accordo, ma usa addirittura parole simili: «Il primo obbiettivo è invitare tutti, governanti e cittadini, a non scoraggiarsi di fronte alle difficoltà e ai fallimenti e a moltiplicare la loro opera». Sarebbe inutile «rattoppare un vestito vecchio», la crisi «va considerata come un sintomo grave che richiede di intervenire sulle cause» della malattia. Serve «una ricetta di lungo respiro».
Tra mercoledì e giovedì Ratzinger parla tre volte. Al Te Deum, alla messa cantata di San Pietro davanti agli ambasciatori, all’Angelus di mezzogiorno affacciandosi in piazza. Ma segue sempre lo stesso filo: serve un nuovo modello di sviluppo. I suoi sono discorsi globali, ecumenici, che abbracciano i destini del mondo e che sono ovviamente condizionati da quanto sta accadendo in Medio Oriente. E però, sotto la preoccupazione per «il destino incerto», Benedetto XVI vuole invitare alla speranza. «Anche se all’orizzonte vanno disegnandosi non poche ombre sul nostro futuro, non dobbiamo avere paura».
Napolitano parla invece alle otto e mezzo di sera e lo ascoltano 13 milioni di italiani pronti a tuffarsi nel cotechino con lenticchie e a sparare i petardi. Quattordici minuti, interrotti da due sorsate d’acqua, un record di rapidità e di essenzialità. Quanto basta per praticare al Paese un’iniezione di «realistica fiducia». La crisi, sostiene il presidente, non è solo un guaio che colpirà i più deboli, come anziani, lavoratori a basso reddito, famiglie, giovani, precari, ma può essere anche un’occasione per costruire un’Italia migliore. Ne usciremo «ritrovando il nostro spirito», quello che ci ha fatto superare altre prove durissime come il Fascismo, la guerra e gli anni di piombo.
Certo, «dobbiamo guardare in faccia i pericoli senza sottovalutarli», ma, come diceva Franklin Roosevelt, «l’unica cosa di cui dobbiamo avere paura è la paura stessa». Dunque ce la faremo se riusciremo a «ricostruire la coesione nazionale» e se le forze politiche smetteranno di litigare su tutto, «impegnandosi a collaborare soprattutto sull’economia». Dialogo è un termine ormai sparito dal vocabolario presidenziale perché ormai non c’è più tempo per trattare. Qui bisogna «uscire dalla logica dello scontro» e arrivare «a una corresponsabilità tra maggioranza e opposizione» sulle cose da fare.
Cioè le riforme «che sono all’ordine del giorno». Quella istituzionale, quella della pubblica amministrazione e soprattutto «del modo di operare della giustizia». Poi l’attenzione alla scuola, all’ambiente, al patrimonio culturale. Infine, la questione morale. Se bisogna «impiegare in modo più produttivo le risorse», occorre anche «ristabilire rigore e trasparenza nell’uso del denaro pubblico».

Basta sprecare e basta rubare.

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