Le parole di Prodi si perdono fra le nuvole

Gentile dottor Granzotto, recentemente lei ha definito il pensiero di Romano Prodi un volatile e sfilacciato batuffolo di nuvola, immagine un po’ fuori dal comune che dovrebbe indicare un pensiero evaporato e che non riesci a stringere per via dell’assenza di costrutto. La mia domanda è: un uomo come Prodi, che è professore di Organizzazione e politica industriale all’Università di Bologna, che è stato fra i massimi boiardi di Stato, che è stato presidente del Consiglio e capo della Commissione europea, ci è o ci fa?


Intende chiedermi, caro Lolli, se il pensiero di Prodi è naturalmente, costituzionalmente volatile e sfilacciato o se invece Prodi «ci fa» e dietro volatilità e sfilacciatura nasconde un intelletto coi controfiocchi? Se è così, per me è buona la prima. Non c’è trucco e non c’è inganno: dalla scatola cranica di Romano Prodi, da quella «testa quedra», quadra, come lo stesso interessato si compiace di definirla, esce quel che può uscirci. Nel caso nostro, il nulla. Un nulla ben insaporito dalla salsa del politicamente corretto, un nulla che può risultare (agli elettori di sinistra) allettante e rassicurante al tempo istesso, un nulla espresso con grande solennità o con quel suo fare ridanciano, con quel suo sganasciarsi alla Fantozzi, ma sempre un nulla rimane. Prodi comunica il suo così detto pensiero con un linguaggio molto ben descritto da Luca Ricolfi nel suo recente Perché siamo antipatici - La sinistra e il complesso dei migliori (Longanesi editore), «un linguaggio che manda in esilio le cose, e le sostituisce con formule astratte e parole vaghe». Un linguaggio oscuro e supponente, «ampolloso, generico, straboccante di formule astratte», che «indulge sistematicamente alla retorica della catastrofe, del Paese da salvare, dell’ala sana cui sarebbero affidate le sorti di tutti». Un linguaggio che non si rivolge al popolo, alla gente, ma a una generica società civile, a un club «dei migliori», dei più «giusti» per i quali contano o comunque conterebbero solo raffiche di Princìpi, di Valori e di Ideali, sempre con la maiuscola, mi raccomando. «Parole di nebbia», le definisce Ricolfi. La quale nebbia è ancor più evanescente del batuffolo di nuvola.
Anche qui, più della teoria vale la pratica. Andato in visita pastorale a Torino per scaldare un po’ la città nell’imminenza di quella giullarata delle primarie, Prodi ha tenuto la sua omelia in un teatro pieno, come si leggeva nelle cronache, in ogni ordine di posti. Tutta bella gente, tanta società civile ma anche, Torino è pur sempre la città-Fiat, molte tute blu. Omelia, quella di Prodi, esemplarmente prodesca il che significa parole di nebbia una via l’altra, concetti tanto «alti» da perdersi, appunto, fra le nuvole e poi giù con la solidarietà, con il dialogo, con il confronto, con l’etica della politica e la politica dell’etica, con l’impegno, col rilancio, con l’innovazione (attualmente al fixing delle parole-nuvola, innovazione/innovare va fortissimo) quand’ecco che sul più bello un gruppo di operai s’alza in piedi e uno di essi esclama, con voce stentorea: «Basta chiacchiere, Romano! Parla di lavoro!». Il bel viso altrimenti rubicondo del professor Prodi si fece livido. I presenti (in ogni ordine di posti) ammutolirono.

Il re dell’aria fritta era stato messo a nudo.
Paolo Granzotto

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