Nonostante le presunte prove raccolte dai servizi afghani sta prendendo piede a Kabul la possibilità di una celere soluzione dell'arresto degli operatori di Emergency Marco Garatti, Matteo Pagani e Matteo D'Aira. «Il ministro degli Esteri, Franco Frattini ha avanzato, nelle ultime ore attraverso l'inviato speciale a Kabul, Massimo Attilio Iannucci, una proposta concreta, che potrebbe portare ad una rapida conclusione della vicenda nei prossimi giorni - sostiene una fonte diplomatica -. Si basa su reciproche garanzie: per l'Afghanistan, sul caso Emergency, in cambio di assicurazioni sugli impegni italiani nel Paese». Un'ipotesi è che i tre operatori dell'ong milanese possano venir liberati a breve, magari con un'inchiesta che prosegua in Italia. Per fare definitivamente chiarezza sulle armi trovate nell'ospedale di Emergency a Lashkar Gah. Ieri Amrullah Saleh, il capo dei servizi segreti afghani, ha informato l'ambasciatore Glaentzer che il caso dei tre italiani verrà passato alla procura. Questo significa nomina dei difensori e incriminazione o meno entro 15 giorni, a seconda della validità delle prove raccolte dai servizi. Potrebbe essere un primo passo verso l'ipotesi di inchiesta o procedimento giudiziario nel nostro Paese.
Una delle prove cardine, raccolte dai servizi afghani, è l'intercettazione, rivelata ieri da Il Giornale, che metterebbe in difficoltà Garatti, il chirurgo di Emergency. «I servizi di sicurezza afghani fino a poco tempo fa non avevano capacità di intercettare comunicazioni o telefonate da soli, soprattutto in un posto come Lashkar Gah - spiega una fonte de Il Giornale che ha ricoperto incarichi di comando Nato in Afghanistan -. Se sono state effettuate intercettazioni a Lashkar Gah è presumibile che fossero coinvolte squadre britanniche. In alternativa, se qualcuno dell'Nds (i servizi afghani, nda) è stato addestrato a sistemi di sorveglianza di questo genere e fornito, magari in prestito, dell'attrezzatura necessaria, gli inglesi non potevano esserne all'oscuro». A nord ovest di Lashkar Gah sorge Camp Bastion, il quartier generale di quasi novemila soldati britannici impegnati nella provincia di Helmand. Lo zampino inglese nel caso Emergency è stato evidente fin dall'intervento delle truppe britanniche nel blitz all'ospedale italiano del 10 aprile.
Lo stesso governatore di Helmand, presunto obiettivo del «complotto» che sarebbe stato ordito con le armi trovate nell'ospedale, è legato a doppio filo con i britannici. Sarà un caso, ma l'inviato speciale di Londra in Afghanistan e Pakistan, Sir Sherard Louis Cowper-Coles, è noto per non amare gli italiani e ancora meno il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. Non a caso, quando è stato nominato, lo scorso anno, è saltata fuori la storia del nostro contingente a Surobi che pagava i talebani per non farsi sparare addosso: una bufala veicolata dal solito Times. Sir Cowper-Coles ha ottimi rapporti con alcuni giornalisti del quotidiano britannico. Guarda caso era sempre il Times che una settimana fa rivelava false confessioni dei tre italiani arrestati. La grana di Emergency mette in difficoltà il governo italiano, che Sir Cowper-Coles non ama. Anni fa, non in Afghanistan, è saltato fuori ad una riunione ufficiale con una frase che suonava più o meno così: «Ma è vero che il primo ministro italiano è un malfattore? Quando se ne va?». Nelle foto ufficiali, prima dello scatto, prende spesso in giro Berlusconi. Anche a Kabul quando può mostra antipatia nei confronti dell'Italia e del suo premier.
Prima del suo balzo di carriera, come semplice ambasciatore britannico a Kabul, Cowper-Coles, ha ammesso che un certo Michael Semple, irlandese della missione europea, fosse un suo consulente. Semple e un diplomatico britannico all'Onu furono arrestati il 24 dicembre 2007 con una valigetta piena di soldi nella provincia di Helmand, mentre andavano a trattare con i talebani. Il loro contatto era Mansoor Dadullah, guarda caso uno dei cinque tagliagole liberati in cambio del giornalista di Repubblica Daniele Mastrogiacomo, pochi mesi prima.
Nonostante gli inglesi non ci amino, a Kabul continua il lavoro della diplomazia italiana.
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