Il Pd è sempre più lacerato dal fattore Tonino

Democratici allo sbando. Sono saltati gli equilibri delle correnti. E persa la bussola ognuno va per conto proprio

Roma - Nel Pd tornano a volare falchi e colombe, ma questa volta senza riguardo per le correnti di appartenenza. Divisi sull’aggressione a Berlusconi, su Antonio Di Pietro e altro ancora. Tartaglia non ha solo messo a repentaglio la salute del premier. Tra gli effetti collaterali del lancio del Duomo in miniatura non c’è solo lo stress di Italia dei valori e dell’area giustizialista, divisa tra la necessità di non allontanarsi troppo dalle istituzioni e le pressioni della piazza virtuale. Anche il Partito democratico ha subito contraccolpi politici. E questa volta a perdere la bussola non è stato tanto il partito nel suo complesso, che nasce come soggetto pluralista, quanto le singole componenti sono andate in ordine sparso.

Chi si aspettava che i franceschiniani, area più vicina a Di Pietro, reagissero compatti, con argomentazioni anti berlusconiane a prescindere, si è trovato di fronte un ultra veltroniano come Giorgio Tonini che mette in guardia dalle ambiguità, non solo di Di Pietro, ma anche, «in qualche modo, della Bindi. Bisogna essere inequivoci: ci si può e si deve contrapporre in modo netto sulla politica e più la contrapposizione è chiara più è ossigeno per la democrazia, ma in modo altrettanto fermo bisogna escludere qualsiasi forma di violenza».

E il riferimento a Rosy Bindi non è casuale. È stata lei a trascinare il vertice del Pd (è presidente del partito) e la corrente del segretario Pier Luigi Bersani su posizioni vicine a quelle di Di Pietro. In sintesi: l’ex ministro della Sanità aveva invitato Berlusconi a non fare la vittima perché, in fondo era anche lui responsabile. E se Bersani è andato a trovare il premier in ospedale, è stato anche per controbilanciare l’uscita della presidente sempre più ingombrante. Troppo dipietrista persino per i veltroniani, figuriamoci per un’area che fa riferimento a D’Alema.

I condizionamenti e la concorrenza di Italia dei valori si fanno comunque sentire. E nessuno se la sente di isolare l’ex pm, con il quale il Pd dovrà necessariamente allearsi. Tanto che ieri lo stesso Bersani lo ha difeso, quando se l’è presa con Fabrizio Cicchitto, con toni non molto diversi da quelli che Bindi aveva usato contro Berlusconi. «Dopo l’aggressione a Berlusconi, c’è il rischio che ci sia chi si traveste da pompiere ma fa l’incendiario». Il riferimento è all’uscita dall’Aula del capogruppo Pdl mentre parlava di Pietro. In questo caso anche veltroninani Doc hanno condannato il Pdl. Segno che Di Pietro ha ancora un peso e che, a prescindere dalle posizioni che prenderà il partito dell’ex magistrato, il Pd non lo mollerà.
Democratici alla prova anche nell’altro tema sollevato dal caso Tartaglia. Le limitazioni a siti, blog e gruppi dei social network che inneggiano alla violenza. Anche qui non mancano le sorprese. Si va dal «no a progetti illiberali contro internet» del moderato Paolo Gentiloni, presidente del forum comunicazioni del Pd, all’analisi molto più possibilista del suo predecessore, Vincenzo Vita, che invece è un esponente della sinistra Pd. Denuncia la censura e il rischio di divieti che vadano contro la Costituzione.

Ma riconosce: «C’è già nelle direttive europee e nello stesso nostro ordinamento la possibilità d’intervenire, supportata assai efficacemente dalla Polizia delle Comunicazioni». Come dire, se il popolo della forca virtuale esagera, si può sempre fare denuncia.

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