Forse è il caso di parlare di Pdl. Il partito, con una certa lentezza, sta cercando di metabolizzare la fusione. Da un po’ di tempo non si parla più di ex. La divisione tra An e Forza Italia è sempre meno netta. C’è una frattura più marcata, che non segue i vecchi confini di partito. Fini non è più il leader di Fiuggi. Ha iniziato un altro viaggio e molti dei suoi vecchi «colonnelli» non stanno più sulla stessa barca. Sta cercando una nuova identità. Legittimo. Solo che questo percorso lo sta facendo fuori dal partito. I finiani non sono una corrente, ricordano piuttosto una sorta di spin off: una vicenda minore che si stacca dalla storia madre per creare una nuova narrazione. È quello che accade nei fumetti, nelle serie televisive o in letteratura. Anche l’Eneide in fondo è uno spin off dell’Iliade. Berlusconi e Fini si incontreranno oggi. Magari è inutile: certi destini seguono una strada naturale. L’epilogo arriva se deve arrivare.
La questione Pdl non si ferma a Fini. Il partito è giovane e ogni tanto mostra i suoi punti deboli. Quello che è successo martedì sera alla Camera non è un caso. Si vota il decreto salva-liste e trentotto deputati del Pdl stanno da un’altra parte. Il risultato è che la maggioranza va sotto. Non è la prima volta che accade. I radicali fanno subito sapere che potrebbero chiedere l’annullamento del voto nel Lazio. Che si fa? Si rincorre, ancora una volta. Si cerca di mettere una pezza, come è accaduto con la storia dei panini, del pasticciaccio alla romana e dei ricorsi al Tar. Oggi verrà presentata una leggina per rimettere le cose a posto. A lungo andare queste improvvisazioni rischiano di stancare anche gli elettori più pazienti.
Berlusconi, lo riconoscono perfino i suoi nemici, in campagna elettorale ha compiuto un mezzo miracolo. Ci ha messo la faccia. Si è speso. Ha tirato la volata alla Polverini. Ma il partito è solo Berlusconi? Questa equazione funziona, e a quanto pare è vincente, quando si tratta di sfidare gli avversari nell’arena del voto. Bisogna capire se è una formula valide per tutte le stagioni.
L’orizzonte è cambiato. Il partito ha davanti tre anni senza elezioni. Si parla tutti i giorni di grandi riforme. Il Cavaliere è il capo del governo e si muove su molti fronti. È questa la stagione in cui il Pdl si gioca il futuro. È la fine dell’adolescenza. Il partito deve avere una forma, un’idea, un contenuto. Non può essere un peso, ma una risorsa. Non si può passare le giornate a marcare stretti i propri vicini di casa. Non si può curare solo il proprio giardino. Raccontano che Berlusconi sia un po’ preoccupato per una certa tendenza al «baronaggio» dei suoi uomini. L’esperienza pugliese gli ha fatto vedere con chiarezza che le logiche locali finiscono per condizionare, in peggio, le scelte politiche. Il confine tra «radicamento territoriale» e feudalesimo può essere molto sottile. Quello di cui il Pdl non ha bisogno è una gara al ribasso per crearsi piccole nicchie di potere. Fitto ha avuto il coraggio di mettersi in discussione. Il giorno dopo la sconfitta «casalinga» ha presentato le dimissioni da ministro. Non è l’unico però a ragionare in termini di interessi territoriali. La vocazione nazionale del Pdl qualche volta si perde nelle strade di provincia.
Bossi ha fatto capire che è federalista in tutto, ma una federazione con il Pdl proprio non la fa. Non è matto. Il Carroccio è un alleato fedele di Berlusconi, ma un concorrente insidioso del Pdl. È una legge di mercato. Sono due negozi piazzati sulla stessa strada. La merce che vende la Lega è ben conosciuta dai suoi clienti. Ormai, dopo tanti anni, è un marchio tradizionale, tanto che il «made in Padania» viene esportato anche in zone di confine come l’Emilia, l’Umbria e la Toscana. Il Pdl è un volto. È il suo fondatore. Ma il prodotto da vendere nei prossimi tre anni è la grande riforma. È Berlusconi e qualcosa in più. È Berlusconi e la politica del Pdl. Le sue idee, i suoi valori, la sua storia. È un progetto.
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