Pelè, settant’anni da dio del pallone

“Dico” compie oggi settanta anni. Faceva a pugni con i compagni di classe che lo chiamavano, ghignando, Pelè. Quattro lettere hanno fatto la storia sua e del calcio. A Bauru, a Santos, a Rio de Janeiro, in tutto il mondo. Suo padre, Joao Ramos do Nascimento, sua madre, Maria Celeste Arantes, avevano deciso di chiamare il pupo con il nome di un inventore, Edison. Ma il suo soprannome è stato e rimane “Dico”, per i parenti e gli amici veri. Edison era l’americano della lampadina, del filo che diventa incandescente al passaggio della luce elettrica. Edison diventò Edson, poi quando si mise a giocare a “fucibòl”, assieme al portiere Bilè, i suoi compagni lo ribattezzarono Pelè. Vennero poi 504 gol in 496 partite ufficiali, 30 gol in 33 partite di coppa brasiliana, 28 gol in 27 partite delle coppe internazionali, per arrivare, amichevoli comprese, a 1000, mille e ancora più gol, in una carriera che non è mai finita, forse non è mai cominciata perché, come scrisse Armando Nogueira, giornalista brasiliano: «Se non fosse nato uomo, Pelè sarebbe nato pallone».
La lampadina di Edison Pelè si accese quando il Brasile era una terra lontanissima e povera, quella luce diventò faro, riflettore, sole e luna, chi scrive, chi parla, chi di calcio si occupa e sogna, deve avere da qualche parte, sotto un cuscino, dentro un libro, tra le pagine di un vecchio album di figurine, qualcosa che abbia avuto a che fare con O Rei. Pelè è stato puma e farfalla, una saetta elegante, una freccia silenziosa, un fulmine nel cielo scuro, la frusta della pioggia a rinfrescare corpi accalorati, la carezza calda per ritrovare tepore dopo il vento ghiacciato, è stato cronaca e leggenda, muscoli poderosi e di seta, lo stop tronfio con il petto, il tiro potente con il destro, con il sinistro, spade non piedi, la finta con gli occhi, il dribbling velenoso, il colpo di testa perfido, il pallonetto e la fucilata, la maglietta bianca, il numero dieci, gli occhi grandi, ultimo segno della sua antica povertà. In breve: il calcio, meglio, il CALCIATORE.
Facile allineare gli aggettivi, i sostantivi, facile l’agiografia ma Pelè non aveva le telecamere dentro lo spogliatoio, Pelè non aveva la moviola a spiegare i suoi inganni leciti, Pelè non aveva gli sponsor sulle scarpette, Pelè aveva tutto il resto, la fame di Bauru, la festa di Santos, lo zucchero di Rio, giovani femmine bionde e vecchie sdentate, amanti e tifose, bambini e anziani, lacrime solitarie e strilli di folla, quella del Maracanà del 1950, quella che prima del Cinquantotto, il mondiale in Svezia, non aveva mai visto un brasiliano alzare la coppa Rimet al cielo. Quel brasiliano aveva diciassette anni, era stato l’eroe improvviso ma non imprevisto, in Europa sarebbe incominciata la sua favola bellissima. Dicono gli scienziati del football che Pelè non sia stato il più grande perché gli è venuto a mancare l’esame d’europeo, a differenza di Di Stefano o di Diego Armando, il primo, grandioso, a Madrid, il secondo tra Barcellona e Napoli. Gli scienziati non hanno consultato attentamente gli almanacchi o le cineteche, avrebbero ritrovato una finale della coppa Intercontinentale giocata a Lisbona dal Santos contro il Benfica. Finì, quella sera di ottobre, era il giorno undici, del Millenovecentosessantadue, 5 a 2 per i brasiliani, Edison segnò 3 reti grandiose e confezionò 2 assist per Coutinho e Pepe; in tribuna Nereo Rocco e Gianni Brera scoprirono il bambino di venti anni con il numero 10: «Mai visto, prima, nulla di simile» scrisse Brera. Mai vista anche dopo, Pelè era-è-sarà PELE’ e basta, incantesimo magico per chiunque ami il gioco.
Per tutti, tranne che per un altro semidio, Maradona, un argentino che non potrà mai elevare all’empireo un brasiliano, se poi costui è Pelè, un «morocho che ha perso la verginità di uomo, il suo posto è in un museo…», le parole da gentiluomo dell’evasore sudamericano, sono la cicuta che spiega il loro rapporto. Pelè ministro dello sport, Pelè uomo di affari e affarista, Pelè padre tormentato di Edinho, figlio drogato, spacciatore, sequestratore, di nuovo la vita agra, lontano dagli applausi, la luce della lampadina si è fatta fioca ma resta accesa, comunque.

Edison ha spedito una lettera di ringraziamento agli amici, a chi lo ha cercato, invitato per questa data storica, ha spedito un quadrifoglio dorato: «do amigo Pelè», sta scritto. Settant’anni così, come un dribbling, come uno stop di petto, come un gol, mille. E di più.

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