«Non cè più la cintura rossa ma cè una grande mobilità di voto». Filippo Penati, il giorno dopo la sconfitta elettorale subita ad opera di Guido Podestà, riconosce il ruolo decisivo giocato dallhinterland, un tempo roccaforte della sinistra e adesso determinante nella vittoria di Pdl e Lega. Nonostante ciò, Penati dice di non essere pentito di aver rotto lalleanza con la sinistra radicale e non pensa che con la sinistra estrema sarebbe riuscito a vincere: «Non lho pensato neanche per un secondo. Milano si merita di non essere il fanalino di coda della conservazione politica, ma la capitale dellinnovazione. Con la sinistra radicale, avrebbe avuto buon gioco la propaganda del centrodestra, non saremmo arrivati nemmeno al ballottaggio».
Al contrario, lex presidente della Provincia rilancia e propone al Pd nazionale di acquisire il copyright della sfida milanese, portando avanti un progetto politico di sinistra senza ali estreme. Lattenzione di Penati è a Roma, dove venerdì prossimo si terra la direzione nazionale del Pd. Il candidato sconfitto annuncia i programmi futuri: «Rimango in consiglio provinciale e non vado in pensione. Parteciperò alla riunione della direzione Pd, poi prenderò qualche giorno di vacanza. Ma solo qualche giorno».
E le primarie dautunno del Pd? «Non vado in pensione» risponde sibillino. Poi però esclude di candidarsi alla sfida per chi guiderà il Pd: «Per la scelta del leader non mi ha mai convinto la strada delle primarie». Quel che è certo è che «esiste una proposta politica del Pd al Nord». Fa i nomi: Flavio Zanonato a Padova, Antonio Saitta a Torino. «Servono scelte coerenti con il quadro politico delle alleanze».
A Milano Penati si propone come lanti Moratti. Cè già chi lo vorrebbe come candidato pronto a sfidare il sindaco nel 2011. Anche se due anni in politica sono uneternità, soprattutto per chi non ha un podio da cui parlare nel frattempo, Penati non si sottrae: «Si è aperta la sfida. La lepre non è in una gabbia protetta. Mancava poco che la Moratti facesse un comizio al posto di Podestà, ha scritto una lettera, fatto stampare manifesti, si è sbilanciata in un endorsement, ha concesso interviste in trincea e con lelmetto. Nonostante questimpegno, si è aperta la caccia».
Penati si concentra sul voto di Milano, che lo vede in leggero vantaggio su Podestà, ed è deciso a proporre a Roma il progetto di un centrosinistra riformista senza Rifondazione comunista, Comunisti italiani e tutto ciò che sinteticamente definisce «sinistra conservatrice». Marcia verso la capitale: «È un messaggio per Roma. Loro dovranno riflettere. Il congresso dautunno, che non si può rimandare, dovrà tenere conto di questa cosa. A Milano non abbiamo vinto in modo asettico, ma con un forte investimento sul piano delle alleanze, con coesione e con un progetto politico».
Il progetto da esportare («ma non è un modello Penati, né un modello Milano, chiamatelo modello Giuditta» ironizza, citando il Piccolo diavolo di Benigni) è una sinistra riformista attenta ai problemi della sicurezza, della legalità, dellimmigrazione. «Ha vinto una proposta politica - la sua interpretazione -. Ha vinto la sfida di correre senza Rifondazione e Pdci». Secondo aspetto della questione sono gli argomenti forti usati in campagna elettorale. «Sulla sicurezza e sullimmigrazione non abbiamo girato la testa dallaltra parte. Il congresso del Pd dovrà tenere conto di questa cosa».
Già allindomani del primo turno, strappato per un soffio il ballottaggio, Penati le aveva cantate chiare al centrosinistra romano. Parole dure: «Né a Dario Franceschini né a nessun altro sarà consentito di non ascoltare e di ignorare le istanze che arrivano dal territorio: non si vince con le politiche dei palazzi e dei salotti.
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