Penati torna Penati: "Alleanze con tutti nessuno è escluso"

Il presidente uscente strizza l’occhio all’Udc ma ammicca all’estrema sinistra della sua vecchia maggioranza: "Cercherò chi è rimasto orfano del candidato"

Penati torna Penati: "Alleanze con tutti nessuno è escluso"

Arriva a Palazzo Isimbardi come l’ultimo dei mohicani. Tutto crolla intorno a Filippo Penati, il Pd in Lombardia prende batoste dappertutto. E allora anche il ballottaggio che lui ha conquistato a fatica, con dieci punti di distanza e rischiando fino all’ultimo di non farcela, si trasforma ai suoi occhi in uno straordinario trionfo. Tra applausi e pacche sulle spalle, il presidente della Provincia convoca una conferenza stampa nel cortile di quello che tra due settimane potrebbe non essere più il suo ufficio: «Secondo voi non è una vittoria? Adesso gli elettori sceglieranno tra due persone, senza l’alibi delle liste dietro cui nascondersi». La Lista Penati presidente è sotto il 3 per cento, lui si è fermato al 38% (nel 2004, per la sfida con la Colli, aveva spuntato il 43,2). Ma Penati non dispera: «È il mio terzo ballottaggio, ormai potrei scrivere un manuale».
Corre a cercare voti di qua e di là, dal centro all’estrema sinistra. Insomma, è caccia aperta al voto dei comunisti e dei cattolici: «Comincerò da adesso a parlare con gli orfani, quelli che sono rimasti senza candidato, tra Rifondazione, i pensionati e l’Udc c’è un otto per cento di voto orfano». Intende fare un apparentamento con i comunisti? È un no che però ha l’aria di poter diventare un sì: «Penso di non prevedere apparentamenti, anche se non li escludo. Non faccio accordi con gli stati maggiori, ci saranno segnali per l’elettorato deluso, sui programmi e le persone». Manda segnali di fumo all’Udc: «Un tema a loro caro è la famiglia. Perché dovrei rinunciare a discutere con chi è uscito dal Pdl?». Ci prova anche con i leghisti: «Cercherò di convincere anche loro a votare per me».
È deciso a polemizzare con il centrosinistra, a sottolineare come la sua sia un’affermazione personale, che poco deve ai partiti. Nessuno glielo chiede e allora lui si fa una domanda e si dà una risposta. «Siamo andati quattro punti e mezzo meglio della coalizione, abbiamo recuperato sulle europee» puntualizza, evidenziando la débâcle del Pd. Come spiega le sconfitte ovunque? Ride: «Miracolo a Milano». Il voto personale per Penati è stato leggermente superiore a quello per i partiti che lo sostenevano, la sua lista è intorno al 2,7, con qualche punta al 5 solo per Philippe Daverio e Benedetta Tobagi. Il candidato di Rifondazione comunista e sinistra radicale, Massimo Gatti, ha portato a casa il 3,55 per cento. L’alleanza con gli alleati cacciati fuori dalla giunta a un minuto dal voto torna di attualità.
A Palazzo Isimbardi arriva l’affranto responsabile regionale, Maurizio Martina, che ha perso tutte le sfide in Lombardia: «Sono risultati duri quelli lombardi, l’effetto trascinamento di Lega e Pdl ha pagato anche sul voto locale». Cerca di essere ottimista: «Milano è una grande speranza, perché Penati se la può giocare fino in fondo. È arrivato al ballottaggio grazie al suo forte carisma, alla credibilità e al profilo politico dal tratto riformista».

E gli apparentamenti? «Sì, con i cittadini milanesi». Nel clima di disfatta persino il 25 per cento del Pd milanese è accolto come una manna. Emanuele Fiano sintetizza: «Già l’idea del ballottaggio è una sconfitta nella capitale del centrodestra». Chi si accontenta gode.

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