Con pennello e vernice alla guerra contro i writers

Non chiamateli «writers», per favore. Perché la lingua inglese di per sé, già li nobilita troppo. Tantomeno «fenomeno sociale dei giovani». Perché, al massimo, si tratta di un gruppo di una decina di «imbrattatori», questo il loro vero nome, che non hanno la cultura per capire cosa sia l’estetica di un palazzo né l’architettura degli edifici. Parola di Mario Lozar, giovane architetto milanese che ha deciso di ingaggiare una battaglia personale contro le scritte dei graffittari. In che modo? Impugnando pennello e vernice e andando a cancellarle dalla facciata da casa sua all’Isola. «Quando ho saputo che il Comune dava la possibilità ai condomini di abbonarsi all’Amsa per farsi cancellare i graffiti, l’ho subito detto all’amministratore - racconta -. Ma è così difficile convincere gli altri. La gente dice che è inutile e che tanto domani sarà la stessa cosa».
E invece, lui ha sperimentato l’esatto contrario. «Quelli che vengono a imbrattare la mia facciata ormai mi conoscono, sanno che pulisco il giorno dopo e non sprecano più la vernice. Il concetto del tutto pulito lo rispettano un po’ di più». E poi, se tutti facessero come me, aggiunge Lozar, si darebbe un segnale forte: la gente non vuole più subire questa piccola e quasi quotidiana violenza. «Sì, perché la considero una violenza fascista il fatto che mi scrivano sulla facciata. Sarà anche per deformazione professionale, ma l’architettura della mia casa è nata in un modo e non riesco a vederla altrimenti. Io non sono né fascista né comunista, ma sono convinto che chi imbratta non ha cultura estetica. Come un sordo che ascolta Beethoven».
Insomma, secondo Lozar, i graffittari agiscono come chi deve marcare il territorio e lasciare un segno del proprio passaggio. «Ma è così sterile - continua l’archietto -. Qui il primo che ha scritto, è uno che veniva da Bergamo. Ma è assolutamente provato dalla mia casistica che se trovano la facciata sporca, sporcano di più. Altrimenti ci pensano su». Lo stesso discorso vale anche per le città: più le trascuri, meno le senti tue e meno sei spinto a fare qualcosa per migliorarle.
A dire la verità, Lozar per strada vorrebbe scendere con il rullo e non solo con il pennello e, a essere precisi, una distinzione per quanto sottile la fa tra graffito e graffito. «Le scritte politiche e d’amore, per quando non mi piacciano lo stesso, hanno però più senso di una semplice firma», precisa. Sono passati poco più di venti minuti, da quando l’architetto è sceso con la sua latta di vernice e delle «brutture» sulla sua facciata non c’è quasi più alcun segno. «Un timido segno di seguito l’ho avuto - continua Lozar -: il ristorante accanto a me non ne poteva più di trovarsi la parete sporca e mi ha chiesto dove avessi comprato la vernice. Anche i vecchietti mi chiedono se vado a pulire i loro palazzi.

Certo se ci mettessimo in 25 a fare questo lavoro, chissà forse non sarebbe più così “figo” fare l’imbrattatore. Ma lo diventeremmo noi». Ancora qualche metro e poi finisce l’area di sua competenza. Basta vedere le scritte che stanno dall’altra parte del muro per capire dov’è il confine. «Ecco, io arrivo fin qui».

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