Pensione ai giocatori? Forse sì, con una nuovissima regolina

Caro Paolo, compiuti da poco i sessantacinque anni, cedendo alle insistenze dei familiari e grazie ai buoni uffici di un’affine a suo tempo dipendente dell’Istituto, ho chiesto e ottenuto dall’Inps un quadro che rappresenti la mia situazione relativamente alla pensione. Lo sapevo e ne ho avuto conferma: i contributi da me, negli anni, versati non mi garantiscono nulla o quasi. Preso atto della circostanza, l’animo in pace, non avrei più ragionato in merito se non mi fosse occorso di incontrare un coetaneo che ben mi conosce, il quale, vantato il proprio, cospicuo assegno mensile, ha chiesto del mio, e, sentiti i pur lievi lamenti che mi uscivano dalle labbra, ha preso a sbeffeggiarmi dicendo: «Ma come, non mi dire che non hai versato nulla negli anni in cui giocavi? E, comunque, possibile che non esista una particolare prebenda per quanti hanno praticato l’azzardo?». Scherzava, mi prendeva, ovviamente, in giro, ma su quelle parole ho riflettuto e sono giunto alla conclusione che non siano del tutto campate in aria. Per il vero - e solo chi davvero ha vissuto nei casinò, nelle sale da gioco, negli ippodromi, nelle bische, sa di cosa parlo - non v’è di certo «lavoro» maggiormente usurante. Ecco, quindi, la ragione di queste mie righe: chiedo, Paolo, il tuo sostegno, in prima battuta attraverso la pubblicazione di questa mia.

In seconda, dando il via ad un’opera di convincimento nei confronti dei tuoi colleghi perché, con una bene orchestrata campagna di stampa, convincano le Camere a legiferare come sopra detto inserendo, quindi, tra i lavori che meritano un diverso e assai più favorevole trattamento quello del giocatore. Non dubito della tua comprensione e del tuo pronto ed entusiastico aiuto.

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