"Non è un lavoro come gli altri, ti dicono di farlo tuo. La pianificazione? Fondamentale, ma importa cosa si ha davanti"

Sølve Sundsbø, fotografo norvegese di fama mondiale, racconta come ha pensato il nuovo Calendario Pirelli

"Non è un lavoro come gli altri, ti dicono di farlo tuo. La pianificazione? Fondamentale, ma importa cosa si ha davanti"

Un gigantesco studio cinematografico, tra luci, vasche d’acqua, proiezioni digitali e frammenti di natura ricostruita: lo scenario del Calendario Pirelli 2026 è tutto qui, negli scatti realizzati tra Norkfold, Londra e New York. E nel lavoro che prende vita da un’idea visiva e poetica firmata da Sølve Sundsbø, fotografo norvegese di fama mondiale, noto per la sua capacità di fondere tecnica, immaginazione e una profonda sensibilità per il corpo femminile: “Il mio progetto era di catturare emozioni, istinti e stati d'animo che sono fondamentali nella vita umana – è la sua presentazione -: il desiderio di libertà, la curiosità, la sete di conoscenza. Una sorta di mistero, immaginazione, passioni, desiderio di emancipazione, il legame con la natura e il nostro rapporto con il tempo e lo spazio. È un modo per connetterci a qualcosa da cui proveniamo”.

Il risultato verrà presentato a novembre a Praga, il cast invece è già noto, e rappresenta il ritorno all’universo femminile a 360 gradi: le attrici Adrja Ariona, Gwendoline Christie, Tilda Swindon, Luisa Ranieri e Isabella Rossellini; la fashion designer Susie Cave; le modelle Eva Herzigova (anche attrice), Du Juan e Irina Shajik: la cantante FKA Twigs; l’ex campionessa di tennis Venus Williams. Così le racconta Sundsbø, incontrato durante la sessione londinese.

Questo Cal è un progetto diverso da tutto il resto.
“Il Calendario Pirelli non è un lavoro come gli altri. Non ti arriva un cliente con un prodotto da vendere. Ti danno un foglio bianco e ti dicono: ‘Fallo tuo’. Per un fotografo è una benedizione, ma anche una sfida. Perché ti confronti con una tradizione straordinaria, fatta da nomi che ammiravo quando ho iniziato. E senti il peso, positivo, di dover ‘guadagnare’ il privilegio di farne parte”.

L’edizione 2026 è fatta di acqua, di donne, di elementi della natura.
“Non è un calendario mitologico. Non sto dicendo che Eva è una sirena o Gwendolyn è il fuoco. Quello che cerco è un legame più profondo. L’acqua, per esempio, è un elemento che assorbe, trasforma, avvolge. E ognuna di queste donne ha una relazione unica con ciò che la circonda”.

Sono comunque tutte donne forti.
“E’ stato un casting profondamente pensato. Non aver inserito uomini non è una scelta politica, ma è perché volevo raccontare una storia al femminile. Sono donne forti, determinate, creative. Non vittime, non oggetti. In loro c’è forza, sicurezza, energia. Tilda Swinton, per esempio, l’ho fotografata nel suo giardino murato, un luogo mentale fatto di vento, piante, silenzio. Gwendolyn Christie, invece, è pura luce e vitalità. È come se fosse fatta di energia”.

C’è un ruolo per le emozioni e per la sorpresa.
“In un progetto così articolato, con molti set, interpreti e giorni di lavoro, la pianificazione è fondamentale. Ma poi, al momento giusto, dimentichi ogni piano e guardi cosa hai davanti. La sorpresa visiva, quell’errore che diventa poesia, è il regalo più grande”.

C’è l’uso della tecnologia, ma con etica.
“Ma non ho usato l’intelligenza artificiale: tutto è stato fotografato davvero. Ho sperimentato l’IA in altri progetti, come un libro in Giappone con un modello allenato solo sulle mie foto: praticamente un’intelligenza artificiale eticamente coltivata. Ma qui no. Questo è reale. Naturale. O almeno, visivamente controllato ma basato sulla realtà”.

E cosa c’è delle sue origini?
“Io sono originario della costa sud-occidentale della Norvegia, vivo a Londra ma lavoro spesso a Parigi. La mia terra d’origine mi ha segnato profondamente: amo la natura, il freddo, la luce nordica. Mia moglie scherza dicendo che più piove, più sono felice. E in questo progetto volevo ricreare quel tipo di immersione: non solo fisica, ma anche emotiva, mentale”.

Cosa significa raccontare una storia con una fotografia?
“Non è come scrivere un romanzo o un poema. Una foto è come una frase estratta da una poesia, ti lascia intuire cosa è venuto prima e cosa verrà dopo. Le immagini migliori ti fanno domande, non ti danno risposte. Ti chiedi chi è quella donna, dove va, cosa sente. E quella curiosità è parte della bellezza”.

C’è una vena di realismo magico nel suo lavoro?
“Forse. Ma più che alla letteratura sudamericana, penso a una magia della natura. Studio la scienza, anche se non sono bravo. Ma trovo che la vera creatività, oggi, appartenga agli scienziati. E nel mio piccolo cerco quella stessa meraviglia: guardare un fiore o un corpo come se fosse la prima volta”.

Quanto è difficile oggi essere un fotografo?
“Viviamo immersi nelle immagini. I miei figli ne vedono migliaia ogni giorno. Ma a scuola nessuno insegna a leggerle criticamente. Ogni foto è un punto di vista, non la verità. Dire che una foto mente è come dire che un racconto mente. Invece sta comunicando qualcosa, sta cercando di dirti qualcosa”.

E Il Cal 2026 cosa vorrà

dirci?
“Ognuno deve poter essere ciò che sente di essere. Io racconto questa storia oggi con delle donne, ma domani potrei farlo con degli uomini. L’importante è che ci sia verità emotiva e rispetto. E desiderio di comunicare”.

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