Cristiano Gattti
nostro inviato a Namur
Un indizio è un indizio, due indizi sono due indizi, tre indizi diventano una prova: ormai si può dire, è l'anno disgraziato di Alessandro Petacchi. Dopo la Sanremo fallita, dopo una campagna del Nord finita peggio, siamo alla traumatologia spinta. Per la verità, neppure l'anno scorso era finito benissimo, con il memorabile tracollo nel Mondiale di Madrid. Nel 2006 c'è però qualcosa di molto più serio: è rotto. Ce lo siamo giocati per il Giro e chissà per che altro ancora. Per il Tour, quasi scontato. Una caduta, una stupidissima caduta. Neanche in volata, a settanta orari, dove ogni volta rischia la pelle: no, in un tratto tranquillissimo, lungo un comodo rettilineo, quando ancora mancano sessanta chilometri al traguardo. Vai a capire i giochi idioti dei destini a due ruote.
Anche stavolta, la solita dinamica da oggi le comiche, se alla fine non ci fosse da piangere: un maldestro passaggio di mantellina tra corridori infreddoliti, sbandamento collettivo, davanti qualcuno cade, quindi arriva Petacchi, puntuale al capolinea. Tamponamento su Cioni, un suo ex gregario diventato capitano altrove, e lo stesso Cioni che gli aggancia il manubrio, trascinandolo a pelle d'orso sull'asfalto.
A prima vista, comunque, sembra tutta routine. Petacchi si rialza, si gratta il ginocchio sinistro e la spalla. Ma dopo pochi istanti, atteso dai gregari, risale in bicicletta. Ragionamento collettivo: va bene, è caduto, magari accusa una botta, ma adesso ha davanti una tappa facile e il giorno di riposo per recuperare.
Lui stesso induce tutti in errore pedalando fino a Namur, ogni tanto palpeggiandosi il ginocchio, ogni tanto chiedendo un po' di ghiaccio spray al professor Tredici, mago della medicina rosa. Arriva sul traguardo con un quarto d'ora di ritardo, ma ci arriva. La classifica generale, per un uomo jet, è l'ultimo dei problemi.
Le sue stesse dichiarazioni a botta calda (stavolta non è una metafora) sono un inno all'ottimismo: «Mi si è gonfiato il ginocchio, mi ha fatto un po' male. Però nel finale andava già meglio, sono riuscito a spingere di più». Poi la fatidica domanda, la prima che si rivolge a tutti gli Enrichi Toti del Giro quando misurano l'asfalto: ti ritiri o riparti? «Ma no, non mi fermo. Adesso vediamo un po' con i medici, ma domani voglio esserci».
Alla malora. Non Petacchi: la sua scalogna. Mentre tutti quanti già ricordano negli articoli l'impresa del 2003, quando cadde paurosamente nella crono rosa di Merano e il giorno dopo ripartì pestato come una bistecca, riuscendo però a vincere, mentre tutti quanti scommettono sulla tenacia di un campione che non ha mai fatto il piangina, dall'ospedale di Namur arriva la tramvata: giunto lì per una radiografia di controllo, al solo scopo di mettersi tranquillo, Petacchi si ritrova davanti i medici tristi e imbarazzati. È frattura della rotula sinistra. Per il momento una doccia gessata. Ma bisogna operare subito. Il grande velocista sale questo pomeriggio su un aereo diretto verso l'Italia, dove a Lucca finirà sotto i ferri dello specialista professor Castellacci. Titoli di coda e fine del Giro. Soltanto dopo l'intervento l'inventario dei danni sarà più preciso. Ma sarà quasi impossibile rivedere Petacchi al Tour, che parte tra un mese e mezzo. Sempre che non sia già finita l'intera stagione. «Mi spiace. Avevo una gran voglia di prendermi le rivincite su McEwen, dopo la sconfitta dell'altro giorno. Adesso invece non so neppure quando tornerò in bicicletta. Spero almeno per la Vuelta. Purtroppo, queste sono le regole del ciclismo...».
È soprattutto la regola del Giro d'Italia, dove non c'è giorno e non c'è tappa senza colpi di scena. Belli e brutti, come nella vita. Figuriamoci qui, dove la vita è rappresentata in modo sublime e allegorico, con le sue storie di strada e di varia umanità. La carovana riparte e si lascia indietro uno dei suoi volti più amati, nuovo mattone nella lunga galleria dei grandi ritiri in rosa.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.