Pippo carica il Milan «Forza ragazzi, ancora uno sforzo»

Rispetto le scelte altrui, ma io sono diverso, mi nutro di calcio, starei male se non mi chiamassero. Smetterei se giocassi meno

nostro inviato a Yokohama
C’è una seconda vita per tutti, belli e brutti, campioni non proprio di razza e bomber di vocazione. Basta aspettarla con pazienza e determinazione, come l’onda dell’oceano, e cavalcarla con coraggio. La seconda vita di Pippo Inzaghi si srotola nelle strade del Giappone come una favola in attesa del lieto fine. A passeggio, per le strade di Yokohama, c’è una giovane coppia che porta a spasso un cane, pelo bianco e nero, con la maglia rossonera di Inzaghi in bella evidenza. In quelle stesse ore, al piano numero 50 dell’albergo-grattacielo del Milan assediato giorno e notte da un esercito di tifosi, il Pippo vero, in carne ed ossa, con lo sguardo luciferino e la faccia da eterno ragazzino a spasso in un luna park, racconta la sua seconda vita. «Per me e per il Milan questo 2007 è stato indimenticabile, l’anno boom della mia carriera: a 34 anni ho colto soddisfazioni impensabili. E ora manca solo l’ultimo tassello» comincia stregato da una magia contagiosa che sembra contaminare anche i giornalisti stranieri. «Ho perso un anno di vita e di carriera. Ad Anversa, dopo l’intervento, ho sofferto le pene dell’inferno ma ho conservato intatta la voglia di tornare, non più forte di prima. So che devo lavorare sodo per stare al passo con gli altri, non posso pretendere dal mio fisico grandi e ripetuti sforzi» rievoca senza una sola ombra malinconica. «Mi rimproverano di scegliere le partite. No, la verità è che le preparo in modo unico e ossessivo, con la testa più che col fisico e adesso mi sembra di essere tornato ai tempi di Germania 2006 quando a Duisburg, con Lippi e gli altri azzurri, ci dicemmo: ancora una sforzo, ragazzi, ancora uno»: ecco l’analogia che lo rende meno teso e nervoso di tutti gli altri.
Inzaghi è uno di quelli arrivati al Milan dopo il Duemila, insieme a Pirlo raccattò a Verona un quarto posto d’occasione: fu l’inizio della terza vita (era Sacchi, era Capello, era Ancelotti) del Milan berlusconiano giunto a un altro passaggio storico. «Collezionare tre finali di Champions league in cinque anni e vincere nel 2007 coppa Campioni e supercoppa d’Europa sono soddisfazioni per pochissimi eletti. Perciò, insieme con i miei amici del Milan, ci ripetiamo tutti i giorni, quando non dormiamo bene: preferiamo essere qui. Chiunque baratterebbe lo scudetto per essere al nostro posto. Al ritardo in campionato ci penseremo da gennaio, quando torneremo a casa»: Pippo sa essere dolce e spietato e qui la sua stoccata ha un indirizzo preciso, l’Inter padrona d’Italia.
In Giappone, dopo Kakà, è il più gettonato, il più reclamato, segno che non contano i precedenti in questo Paese che ha il culto della disciplina e del rigore. Nel 2002, con la Nazionale del Trap, si infortunò a Tokyo, ultima amichevole prima del debutto con l’Ecuador, e finì in un cantuccio; nel 2003 col Milan stesso destino, entrò nel secondo tempo, non stava bene e non riuscì a incidere le sue iniziali sulla pelle del Boca Juniors. «Oggi sono felice di star bene, mi sto allenando bene, non inseguo obiettivi personali, i 100 gol col Milan possono attendere, cerco invece il mondiale e penso che nel calcio c’è sempre l’occasione per cancellare qualche amarezza» fa il filosofo Pippo e forse si specchia nella crisi di Ronaldo, passato per i suoi stessi tornanti. «So quello che sta attraversando» confessa con l’aria compunta di chi rispetta il tormento del brasiliano. Perciò deve sentirsi un re rispetto ad altri vip della sua generazione finiti in un cono d’ombra, Bobo Vieri, Alex Del Piero i nomi citati in conferenza mentre lui scatta come un debuttante a Yokohama. «Mi guardo in giro e non vedo attaccanti con i miei risultati, ne sono orgoglioso» sostiene a conferma di sentirsi ancora sulla cresta dell’onda.
Perciò non deve capire affatto quei rifiuti pronunciati da Nesta e Totti in fatto di Nazionale. «Io mi nutro di calcio, sono diverso. Rispetto le scelte altrui, ma smetterei prima se giocassi meno, starei male se non mi chiamassero»: sincerità per sincerità, ecco il vero Inzaghi venire fuori nelle pieghe di un argomento delicato. «Con Donadoni conservo un bel rapporto, ho contribuito alla qualificazione, non ho prenotato le vacanze per la prossima estate» l’invito spedito al ct. E visto che ci siamo, c’è anche un ragazzino super referenziato, Pato, che spinge dietro le quinte da sistemare. Bonariamente, d’accordo. Inzaghi lo mette in riga così: «Ai miei tempi a 18 anni si giocava negli allievi. Speriamo che riesca a darci una mano quando potrà giocare, a gennaio». Perciò alla fine, uno come Pippo, con una seconda vita a disposizione, non riesce a sentirsi più piccolo neanche senza Pallone d’oro.

«Kakà l’ha vinto con merito. Il mio Pallone d’oro è stata la serata di Atene: non ho dormito per 10 giorni di fila» ricorda ancora la scarica elettrica provata quella notte. Pensate cosa gli toccherebbe in sorte se riuscisse a ripetersi, ancora.

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