Nel suo ufficio ha tre statue di Alberto da Giussano e aveva - ora se l’è portato a casa - anche un ritratto di Bossi, che non chiama mai per nome, per lui è il «segretario federale». Per non sentirne la mancanza ha appeso alle pareti delle foto del Senatùr: a una in particolare è affezionato, quella che li ritrae insieme quando era presidente della Provincia di Mantova, incarico che ha ricoperto dal 1993 al 1997. E di cui si trascina una pesante eredità, il nomignolo di «gitano mantovano», per via di quelle catene dorate e di quei braccialetti che indossa, e che un po’lo fanno assomigliare a quei rom che combatte in nome della sicurezza della popolazione lombarda.
Lui al partito deve tanto, tutto: «Se non ci fosse stata la Lega io non sarei stato un sacco di cose» riconosce. Più che una professione, una questione di vita: «Io sono strumento del movimento». Vanta doppia «cittadinanza», milanese e mantovana, di cui parla abbastanza bene gli idiomi. Conserva ancora tutte le venti tessere, molte foto e i ricordi del partito - «su queste cose sono molto bohemien, sono la disperazione di mia moglie». La moglie? Leghista militante, ovviamente.
Davide Boni, assessore regionale all’Urbanistica e capo delegazione della Lega Nord in giunta, 47 anni, due figli, ha iniziato la più grande - 17 anni - alla «politica in verde»: «Mi ha sentito a due comizi e si è commossa, ma non ho spinto io - spiega -. È stata lei a chiedermi di venire, io credo che siano cose che si sentono, che nascono da dentro». Un diploma di perito industriale alle spalle, di politica - e di strada, lui uomo vicino ai problemi del territorio e alla «pancia» dei cittadini - ne ha masticata parecchia: è stato amministratore unico di un’azienda di commercio alimentare per ben tredici anni, presidente della Provincia di Mantova dal 1993 al ’97, assessore provinciale alle Attività produttive dal 1993 al 1995 e dal 1995 al ’97 assessore alla Programmazione e trasporti. Ancora capogruppo della Lega in Consiglio provinciale a Mantova, segretario provinciale dal 1992 al ’93, coordinatore degli Enti locali padani federali dal 1999 a 2000 consigliere regionale nel 2000 e dal 2005 assessore al Territorio della Lombardia.
Una vita nel e per il partito, nella parte del soldato obbediente. Sulla sua presunta candidatura alla vicepresidenza del Pirellone dice «farò quello che mi dicono di fare, da quando sono nella Lega ho sempre obbedito agli ordini». C’è chi nell’ambiente dice che Boni sia molto preoccupato per la possibile discesa in campo di Renzo Bossi: questa terza pedina, finora non prevista, gli porterebbe via spazi e notorietà. Tra i nomi in corsa per il 30esimo piano del Pirellone, oltre al fedelissimo Boni, Leonardo Carioni, presidente della Provincia di Como, presidente dell’Unione delle provincie lombarde e membro del cda della società Expo 2015 spa, uomo della nomenklatura finanziaria della Lega, più addentro alla stanza dei bottoni di Boni, forte sul territorio. Terzo «incomodo» Marco Reguzzoni, presidente della Provincia di Varese dal 2000 al 2008, laureato in ingegneria, vicepresidente del gruppo della Lega alla Camera, molto attento alle questioni economiche. E con una marcia in più: è genero di Francesco Speroni.
Considerato da tutti un gran lavoratore, Boni si definisce «purtroppo per gli altri uno stakanovista, mi piace molto quello che faccio, anche se sottrae tempo alla mi vita affettiva». Decisionista di quelli duri: «quando decido decido, difficile fermarmi o farmi cambiare idea». Basta chiederlo ai rom: «Buona ogni misura per contrastare la presenza massiccia dei rom, da anni gli amministratori locali scavano piccoli fossi intorno ai campi per evitare l’invasione dei rom», sostiene il «gitano mantovano». O ai musulmani, gli imam in particolare: sua la legge urbanistica con tanto di emendamento che di fatto blocca la costruzione di moschee in aree che non siano destinati ai luoghi di culto. Sua anche la proposta di legge per mettere al bando dai centri storici tutti i locali etnici.
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