Seicentocinquanta delegati che diventano
duemila persone se si considerano amici e simpatizzanti azzurri pronti a
trasferirsi a Roma per il congresso del Pdl. Il coordinatore lombardo di Forza
Italia, Guido Podestà, nome in pole position per le provinciali, è anche in
corsa per la guida del Pdl regionale.
Negli ultimi mesi di avvicinamento alla nascita ufficiale del Popolo della libertà non sono mancati i conflitti con An. Adesso le liti termineranno?
«Pochi anni fa era quasi impossibile pensare a un ingresso di An nel Ppe, invece oggi è una scelta condivisa. Le sofferenze e le spigolosità sono inevitabili ma necessarie per dare all’Italia, almeno in prospettiva, una democrazia dell’alternanza. Forza Italia è nata su una capacità di attrazione della società civile, che gradualmente si è estesa a altre componenti riconducibili al pentapartito. Se con An la convergenza è sembrata più conflittuale, è per le caratteristiche peculiari della storia del partito, per l’esistenza di sensibilità e letture diverse».
L’Udc ha annunciato di voler correre per conto proprio. E le presenze nelle giunte milanese e lombarda?
«Prima o poi questa domanda andrà posta. Loro dicono che intendono restare nelle giunte nel rispetto di un patto con gli elettori ma in realtà quel patto lo hanno già rotto, perché non era quello di restare ai propri posti ma di mantenere la linea politica su cui erano stati eletti. Ci auguriamo un ripensamento di Casini e Cesa. L’Udc si è schierato contro il federalismo e quindi contro il Nord per un mero calcolo elettoralistico, pensando di recuperare voti nelle regioni meridionali».
La Lega è un partito alleato o è il maggior concorrente del Pdl?
«Con la Lega esiste una competizione forte. Siamo certamente alleati ma altrettanto sicuramente competitor. È evidente che una parte dell’elettorato di sinistra, deluso dalle posizioni della sinistra ma caratterizzato da antiberlusconismo congenito, ha trovato più facile trovare risposta alle proprie esigenze sulla sicurezza e il rapporto con gli extracomunitari nella Lega piuttosto che nel Pdl. Penati adesso finge di fare il leghista ma ha comprato case e ospitato rom fino a ieri, anzi continua a farlo».
Da esponente dell’ala laica di Forza Italia, pensa che nel Pdl ci sia troppo spazio per la componente e per le idee cattoliche?
«Sono laico ma non laicista. Il tema in discussione adesso, se la vita sia un bene disponibile o indisponibile, è tra i più difficili. Io penso che la vita non sia un bene disponibile e poiché sospendere alimentazione e idratazione vuol dire far soffrire, e io lo considero un gesto di barbarie, mi trovo su una posizione molto più vicina a quella della Chiesa di quanto non accada a molti altri. Quanto all’eutanasia, non possiamo ignorare che se apriamo un varco, si rischiano abusi. Ci si rende conto di che cosa significa e dove può portare? Facciamo fuori i vecchi e i dementi? Buttiamo giù dalla rupe gli invalidi?».
Il Pdl nasce con uno statuto che dà molti poteri al presidente. C’è un problema che riguarda la selezione della classe dirigente?
«Abbiamo la fortuna di avere un leader unico. Credo che anche a sinistra, persino chi non lo ama non possa negarne la straordinarietà. Con gli altri leader del Pdl, sia pure di valore, non c’è partita. Lui stesso punta molto sui giovani proprio per costruire una classe dirigente del futuro, senza dimenticare che ci sono ventenni vecchi e settantenni giovani. E comunque stiamo scrivendo uno statuto, non la Bibbia! Oggi c’è questa situazione, se tra trent’anni bisognerà cambiare le regole lo faremo».
Qual è la frase che sintetizza il Pdl?
«È la speranza di costruire una società che garantisca governi stabili all’interno di una logica dell’alternanza, che oggi è impossibile perché l’alternativa è inesistente. In cinquant’anni abbiamo avuto cinquanta governi, Silvio Berlusconi è stato il primo a assicurare cinque anni di durata a un esecutivo e questo passaggio serve a stabilizzare tutto ciò. La nascita del Pdl è un’opportunità da cogliere anche da parte del Pd, per costruire una moderna socialdemocrazia di cui al momento non si vedono neppure gli albori».
Economia di Stato o di mercato?
«Il mercato ha regole da rispettare che vanno fissate dalla politica e chi crede nel mercato, come Berlusconi e Tremonti, sa benissimo che l’intervento dello Stato in certi momenti è necessario».
Negli ultimi mesi di avvicinamento alla nascita ufficiale del Popolo della libertà non sono mancati i conflitti con An. Adesso le liti termineranno?
«Pochi anni fa era quasi impossibile pensare a un ingresso di An nel Ppe, invece oggi è una scelta condivisa. Le sofferenze e le spigolosità sono inevitabili ma necessarie per dare all’Italia, almeno in prospettiva, una democrazia dell’alternanza. Forza Italia è nata su una capacità di attrazione della società civile, che gradualmente si è estesa a altre componenti riconducibili al pentapartito. Se con An la convergenza è sembrata più conflittuale, è per le caratteristiche peculiari della storia del partito, per l’esistenza di sensibilità e letture diverse».
L’Udc ha annunciato di voler correre per conto proprio. E le presenze nelle giunte milanese e lombarda?
«Prima o poi questa domanda andrà posta. Loro dicono che intendono restare nelle giunte nel rispetto di un patto con gli elettori ma in realtà quel patto lo hanno già rotto, perché non era quello di restare ai propri posti ma di mantenere la linea politica su cui erano stati eletti. Ci auguriamo un ripensamento di Casini e Cesa. L’Udc si è schierato contro il federalismo e quindi contro il Nord per un mero calcolo elettoralistico, pensando di recuperare voti nelle regioni meridionali».
La Lega è un partito alleato o è il maggior concorrente del Pdl?
«Con la Lega esiste una competizione forte. Siamo certamente alleati ma altrettanto sicuramente competitor. È evidente che una parte dell’elettorato di sinistra, deluso dalle posizioni della sinistra ma caratterizzato da antiberlusconismo congenito, ha trovato più facile trovare risposta alle proprie esigenze sulla sicurezza e il rapporto con gli extracomunitari nella Lega piuttosto che nel Pdl. Penati adesso finge di fare il leghista ma ha comprato case e ospitato rom fino a ieri, anzi continua a farlo».
Da esponente dell’ala laica di Forza Italia, pensa che nel Pdl ci sia troppo spazio per la componente e per le idee cattoliche?
«Sono laico ma non laicista. Il tema in discussione adesso, se la vita sia un bene disponibile o indisponibile, è tra i più difficili. Io penso che la vita non sia un bene disponibile e poiché sospendere alimentazione e idratazione vuol dire far soffrire, e io lo considero un gesto di barbarie, mi trovo su una posizione molto più vicina a quella della Chiesa di quanto non accada a molti altri. Quanto all’eutanasia, non possiamo ignorare che se apriamo un varco, si rischiano abusi. Ci si rende conto di che cosa significa e dove può portare? Facciamo fuori i vecchi e i dementi? Buttiamo giù dalla rupe gli invalidi?».
Il Pdl nasce con uno statuto che dà molti poteri al presidente. C’è un problema che riguarda la selezione della classe dirigente?
«Abbiamo la fortuna di avere un leader unico. Credo che anche a sinistra, persino chi non lo ama non possa negarne la straordinarietà. Con gli altri leader del Pdl, sia pure di valore, non c’è partita. Lui stesso punta molto sui giovani proprio per costruire una classe dirigente del futuro, senza dimenticare che ci sono ventenni vecchi e settantenni giovani. E comunque stiamo scrivendo uno statuto, non la Bibbia! Oggi c’è questa situazione, se tra trent’anni bisognerà cambiare le regole lo faremo».
Qual è la frase che sintetizza il Pdl?
«È la speranza di costruire una società che garantisca governi stabili all’interno di una logica dell’alternanza, che oggi è impossibile perché l’alternativa è inesistente. In cinquant’anni abbiamo avuto cinquanta governi, Silvio Berlusconi è stato il primo a assicurare cinque anni di durata a un esecutivo e questo passaggio serve a stabilizzare tutto ciò. La nascita del Pdl è un’opportunità da cogliere anche da parte del Pd, per costruire una moderna socialdemocrazia di cui al momento non si vedono neppure gli albori».
Economia di Stato o di mercato?
«Il mercato ha regole da rispettare che vanno fissate dalla politica e chi crede nel mercato, come Berlusconi e Tremonti, sa benissimo che l’intervento dello Stato in certi momenti è necessario».
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