Il lungo viaggio de il Giornale
negli sprechi di Stato ha dimostrato come, per migliorare i conti, la
strada maestra sia quella dei tagli e non quella delle tasse. Ogni anno
centinaia di milioni di euro si perdono in un buco nero che alimenta
inutili assistenzialismi e antichi privilegi. Tra questi i più odiosi
sono quelli della politica, una infernale macchina tritasoldi che
sfacciatamente resiste a ogni cura dimagrante. Dal Quirinale a Camera e
Senato e giù per Regioni e Province (senza contare i partiti), migliaia
di persone vivono il più delle volte alla grande a nostre spese senza che ciò produca un vero beneficio per la collettività. Il paradosso
è che non c’è politico che non abbia tuonato contro gli sprechi e i
lussi della casta alla quale appartiene, che non abbia giurato di porre
rimedio.
È successo anche in questi giorni, in occasione
della finanziaria che Tremonti ha voluto di lacrime e sangue per i
cittadini. Come è andata a finire lo sappiamo. Ci hanno fregato per
l’ennesima volta. Lorsignori non hanno rinunciato a neppure un centesimo
dei loro ricchi vitalizi.
Ma siccome la vergogna non ha limite, a cose fatte
e giochi chiusi, è ricominciata la gara a promettere che presto le
cose cambieranno. Al momento in testa alla corsa dei Pinocchi c’è
niente di meno che il presidente della Camera, quel Gianfranco Fini che
negli ultimi due anni di balle ne ha raccontate in quantità
industriale.
Ieri il nostro eroe di moralità pubblica e privata ha scritto una lettera a il Fatto ,
il quotidiano di Travaglio che nei giorni scorsi, scambiandolo per un
immacola-to e coerente statista, lo aveva supplicato di fare qualche
cosa per fermare lo scempio degli sprechi in politica.
Travaglio, per le sue battaglie civili, è
specialista nel cercare testimonial affidabili. Per la giustizia di
solito si affida a Spatuzza (quello che scioglieva i bambini
nell’acido) e a Ciancimino (indagato per mafia e tanto altro). Per la
moralità privata di solito prende per oro colato le verità di escort e
ricattatrici. Ora, sulla moralità pubblica e per i costi della politica
interlocutore è Gianfranco Fini, uno che notoriamente su questi temi è
al di sopra di ogni sospetto.
Va bene che è estate e anche i politici sono in
vacanza, passi che Fini ha più tempo di altri in quanto ormai
disoccupato (ovviamente di lusso), ma quando è troppo è troppo.
Mi stupisce che i giornalisti a schiena diritta de il Fatto ,
quelli che non ne fanno passare una a nessuno, non abbiano subito
obiettato a Fini una cosa del tipo: scusi presidente, invece di
pontificare adesso, non poteva fare sentire la sua voce contro i
privilegi della casta nei giorni scorsi, quando bastava che dall’alto
della sua autorità proponesse un piccolo emendamento per evitare la
grande truffa? Oppure: scusi presidente, lei ora promette che i tagli
li farà presto, ma non è che va a finire come il giuramento di
dimettersi se la casa di Montecarlo fosse risultata di suo cognato?
Niente da fare, queste risposte non le sapremo
mai, perché la prima regola dei giornali liberi e indipendenti è quella
di non urtare i sinceri antiberlusconiani. Così si fa passare per
salvatore dalla Casta uno che della Casta è il simbolo vivente.
Sessant’anni da compiere, Fini non ha mai lavorato un giorno:da
quarant’anni si fa mantenere, da trenta dal Parlamento. Come
segretario-presidente dei suoi partiti ha gestito una valanga di soldi
pubblici e privati. Almeno in un caso, quello di Montecarlo, sappiamo
l’uso che ne ha fatto (chiedere ai familiari).
Non ci risulta che in tanti anni abbia mosso un
dito per cambiare le cose. Anzi, i privilegi di presidente della Camera
se li è tenuti ben stretti. Così come non risulta si sia preoccupato in
questi ultimi tre anni delle spese folli del suo carrozzone.
Ma adesso basta, si cambia. Parola di Fini-Pinocchio. Se c’è in giro qualcuno di più affidabile è meglio che si faccia avanti, prima che il partito trasversale degli incazzati assedi davvero il Palazzo (di Fini).
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