Ennio Doris, il fondatore di Banca Mediolanum, è come sempre un fiume in piena e, come sempre avviene nel weekend, è nella sua terra, a Tombolo. Per chi lo conosce da anni, c'è però una sfumatura differente. Il suo innato ottimismo è temperato da qualche nuvola. Il che, per Doris, è una notizia.
«Non sono molto positivo». È l'esordio, ma se avrete pazienza di arrivare fino in fondo capirete che in realtà lo è molto più di quanto dica. «Vede, la politica economica ha uno strumento fondamentale in situazioni come quelle in cui ci troviamo, e sono le manovre sulle imposte. Diciamo meglio: giocare sulle aliquote tributarie è lo strumento più efficace».
E le riforme di cui si parla tanto? E le politiche monetarie espansive? Lei è un banchiere e dovrebbe apprezzarle.
«Le faccio un esempio che rende il discorso più comprensibile. Il Giappone, in grave crisi, ha inondato con la sua banca centrale il mercato di liquidità e si è vista una certa, modesta, ripresa. Ma quando il governo ha toccato l'Iva, innalzandola, la nazione è risprofondata in recessione. Il discorso è semplice: riduci le imposte, la macchina riprende; le alzi e il motore si inceppa».
Le ultime mosse del governatore Mario Draghi, annunciate proprio venerdì, dunque non servono a far riprendere l'economia?
«Sono utili, per carità, ma non tagliano la testa al toro. Abbiamo già tassi di interessi bassissimi. Se i consumatori non spendono e le imprese non investono, c'è poco da fare».
Beh, il governo Renzi ci ha provato mettendo sul piatto 80 euro al mese per ridurre le imposte a una certa fascia della popolazione, ma non si sono visti gli effetti macroeconomici?
«Chi dice che quegli 80 euro non siano serviti a niente, vuol dire che non ha mai vissuto con 1000 euro al mese. Io da giovane l'ho fatto e posso assicurare che 80 euro un piccolo sollievo lo danno».
Sì, ma consumi e Pil non sembrano averne goduto granché.
«È ovvio. In realtà gli 80 euro non ci sono stati. Mi spiego meglio. Possono aver comportato una certa equità fiscale, ma dal punto di vista complessivo la riduzione fiscale è stata più che compensata da aumenti di imposte in altri campi. Lei crede forse che l'inasprimento delle tasse sulla casa, in un Paese di proprietari, non equivalga di fatto ad una imposta sul lavoro?».
Come si possono ridurre le tasse con il nostro debito?
«Due strade. La prima, seguire i consigli di Cottarelli e tagliare spese improduttive per più di 30 miliardi. E ricordarsi che un taglio di imposte oggi, rimettendo in funzione l'economia e dunque la crescita, si ripaga domani. Ma si deve dare un segnale forte e cospicuo per far ripartire la macchina».
Anche i tagli di spesa, anche la riduzione degli sprechi hanno effetti recessivi nel breve periodo?
«Per questo dico che i tagli di imposte debbono essere superiori ai tagli di spese. Assumendo che si riescano a realizzare tutti e trenta i miliardi di tagli di Cottarelli, si dovrebbe abbattere l'imposizione di almeno 40 miliardi per avere effetti netti positivi e visibili sull'economia. C'è anche un effetto psicologico da tenere in considerazione. E noi dell'industria del risparmio lo vediamo chiaramente. I consumi sono crollati non solo per il disagio economico, ma anche per la scarsa fiducia nel futuro del resto della popolazione. Dobbiamo uscire da questo cul de sac».
Resta il guardiano europeo, che ci riporta all'ordine e all'austerità.
«E fa male. L'Europa è l'unico continente che stenta a crescere. All'indomani della crisi gravissima di Lehman, gli Stati Uniti elessero il democratico Obama presidente. Aveva promesso nella sua campagna elettorale di riformare la sanità e abolire le agevolazioni fiscali per la classe media introdotte dal suo predecessore. Questa seconda rilevante parte del programma elettorale non l'ha mantenuta. Aumentare le imposte in recessione è da folli e Obama, nonostante sia un democratico, la sapeva bene. Certo è aumentato il deficit Usa, ma sono usciti da quella che rischiava di essere una depressione di dimensioni colossali».
È soddisfatto delle prime mosse del governo Renzi?
«Vanno nella direzione giusta. Non conosco nel dettaglio le carte, ma mi sembra che la volontà di riforma del mercato del lavoro sia da apprezzare. Le dico la verità, faccio il tifo perché Renzi ce la faccia. E le dirò di più, faccio il tifo per il cosiddetto Patto del Nazareno. Siamo di fronte a problemi così grandi che non si può che lavorare insieme, mettersi intorno ad un tavolo per cercare di trovare una soluzione. Gli spagnoli, che prima di noi hanno trovato alcune soluzioni per uscire da una crisi che era peggiore della nostra, hanno visto i loro due leader Zapatero e Rajoy mettersi attorno a un tavolo per trovare un'intesa. Anche loro hanno stipulato una sorta di patto del Nazareno. E il Paese oggi ne trae beneficio».
Meno Zapatero, che perse le elezioni...
«Le avrebbe perse comunque, ma ha dimostrato di essere uno statista. Sia Renzi sia Berlusconi stanno dimostrando di avere senso dello Stato. È evidente infatti che il patto del Nazareno non porti voti a nessuno dei due. All'opposizione che non può cavalcare la protesta e alla maggioranza che deve accettare di fare le regole con il nemico di sempre».
Ritorniamo all'economia. Non basta certo un patto per farla ripartire, per questo non è più così ottimista?
«Non sono pessimista. Il mondo è destinato a un futuro incredibile. Dobbiamo solo scegliere se essere trascinati dal successo degli altri o diventarne attori principali».
Meno filosofico, la prego...
«La cosa è molto semplice. Nel prossimo futuro, un futuro molto vicino, il costo dell'energia sarà molto inferiore all'attuale. Il petrolio sta già scendendo. In prospettiva verrà soppiantato da forme di produzione energetica decisamente più economiche. Ciò comporterà basso costo dell'energia, inflazione ridotta e, dunque, abbondanza di capitali. Una combinazione ottimale. Se il sistema italiano sarà capace di essere all'altezza, guideremo la ripresa. Per ora siamo stati solo in grado di agganciare il treno delle esportazioni. Le imprese più dinamiche si sono accodate alla crescita economica del resto del mondo. Ma il nostro Paese può fare davvero molto di più. Non essere l'ultima ruota del carro, che magari va veloce, ma essere la prima».
I nostri imprenditori sono così bravi?
«Gli italiani hanno
una marcia in più. Carl Hahn, presidente per 15 anni della Volkswagen, mi diceva che quando un operaio italiano entrava in una loro fabbrica, veniva avvisato dai suoi colleghi tedeschi: Langsam . Che vuol dire: vai piano».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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