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Quella cena Poletti-Buzzi. Il ministro a braccetto ​col boss di Mafia Capitale

Da numero uno della Lega Coop lodava l'operato dell'ex detenuto

Quella cena Poletti-Buzzi. Il ministro a braccetto ​col boss di Mafia Capitale

Roma - «Sto male nel vedere il mio nome messo vicino alle schifezze che ci sono, sono indignato». Il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, nello scorso dicembre non era affatto contento della pubblicazione di una foto che lo ritraeva attovagliato assieme a Salvatore Buzzi, dominus della Coop 29 Giugno, al centro dell'inchiesta «Mafia Capitale». In fondo, si può comprendere il risentimento: Poletti non era e non è indagato dalla Procura di Roma.

«Stavano festeggiando un meccanismo per garantire i pagamenti alle cooperative nonostante il Comune di Roma non avesse più un soldo», spiegò in quei giorni tormentati l'ex assessore capitolino Umberto Croppi ricordando che in quella occasione conviviale, in un tavolo accanto, faceva capolino anche il faccione del boss della malavita capitolina, Luciano Casamonica, inserito in un percorso di recupero proprio da Buzzi & compagnia.

Ma, come si dice sempre in questi casi, «è una questione di opportunità politica». Poletti, quando era ancora presidente di Lega Coop, presenziò all'assemblea della «29 Giugno», periodi nei quali Buzzi celebrava l'espansione della piccola cooperativa diventata un punto di riferimento a Roma e Comuni limitrofi sia per la raccolta differenziata sia nel business dei centri di accoglienza per gli immigrati e dei campi rom. «Buzzi - spiegò il ministro - era apparso come una persona perbene che da carcerato si era laureato, faceva una vita dove si impegnava perché le persone che uscivano dal carcere avessero un'altra possibilità». Insomma, la classica storia del self-made man tipo La ricerca della felicità che poi si scopre essere una specie di Carlito's way . Si può fare una colpa a Poletti se la vita non funziona esattamente come i film a lieto fine?

Certamente no! E l'opportunità politica non c'entra. Il discorso è diverso se si considerano anche alcune strane coincidenze. Ad esempio, la «29 Giugno» in quanto associata del consorzio Cns aveva ottenuto gli appalti di pulizia al ministero del Lavoro. Poletti non era ancora ministro e queste faccende pertengono al burocrate di turno. Ovvio, pertanto, che l'ex presidente di Lega Coop abbia replicato con fastidio alle richieste di dimissioni avanzate dai grillini del M5S bollandole come «strumentali».

Poletti non c'entra nulla, non ha fatto niente di male, non è «una questione di opportunità politica» e non ci sono dimissioni da presentare. Strano però che, quando i rumor del Transatlantico accennano a un rimpasto del gabinetto Renzi e mettono in discussione la permanenza del ministro, non si muova poi una foglia. La consolidata esperienza di Poletti alla guida della centrale delle Coop rosse non si può mettere in discussione, non si può rottamare. E alla fine anche il premier, volente o nolente, sembra essersene fatto una ragione.

Forse per questo motivo oggi Maurizio Lupi, pur essendo in una condizione molto simile a quella del collega, è oggetto dell'insofferenza repressa dell'inquilino numero uno di Palazzo Chigi.

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