Qualche considerazione generale sulla recente vendita di Italo al Fondo americano Gip, tra i leader mondiali nelle infrastrutture.
UN GRANDE AFFARE La vendita dei trenini di Italo è un grande affare per chi ha creduto, contro l'idea di molti per la verità. Il fondo americano ha messo mano al portafoglio per 2,5 miliardi. Bisogna sottrarre l'accollo dei debito per 500 milioni. Netti in tasca agli azionisti entrano 2 miliardi. Non male. Basti pensare che la società viene valutata circa 20 volte i margini operativi che realizza in un anno: valutazioni da settore lusso. A ciò si aggiunga che la quotazione in Borsa più di 1,4 miliardi non avrebbe portato.
I PRIVATI SONO DIVENTATI MILIONARI Andiamo agli azionisti. Che dal 2006 hanno investito nell'azienda e che per tre volte sono stati costretti a ricapitalizzarla, per un totale di 160 milioni, in tre tranche, appunto.
Le banche si sono tolte il debito. E hanno fatto una bella plusvalenza. Generali incassa 290 milioni, su circa 100 investiti nel 2008. Anche Intesa incassa circa tre volte il suo investimento e cioè 380 milioni. Non male di questi tempi. Ma a stappare Krug ci pensano i privati. La vera star è Diego della Valle, che si porta a casa 340 milioni. Anche se ieri, in una nota, ha sottolineato che «per quanto mi riguarda, la società Ntv era giusto quotarla e il nucleo storico di imprenditori italiani sarebbe dovuto rimanere unito alla guida della società». Un bell'assegno anche per Luca di Montezemolo che si porta a casa 250 milioni di euro, a cui sottrarre una quarantina di milioni di suoi investimenti iniziali. 150 milioni entrano nelle tasche di Gianni Punzo, socio fondatore, l'uomo che convinse tutti a fare l'operazione e che con l'ex ferrovie dello stato Sciarrone, mise in piedi la baracca. E che grazie a questo assegno può chiudere alcune sue delicate pendenze con le banche. Tocco d'oro per Flavio Cattaneo, che con il suo 5,83 per cento, si becca un centinaio di milioni di euro, contro una ventina investiti in due tranche. Più o meno lo stesso regalino capitato in sorte ad Isabella Seragnoli. Poco meno incasserà Mr Brembo, Alberto Bombassei.
IL GOVERNO DISPIACIUTO Tutti contenti? Così dovrebbe essere. Anche se risulta incredibile il comunicato fatto dal ministro Padoan e dal ministro Calenda (che proprio con Punzo e Montezemolo iniziò la sua carriera manageriale) che pendente l'offerta degli americani hanno scritto: «La quotazione in borsa della società rappresenterebbe il perfetto coronamento di una storia di successo». Come dire continuate con la Borsa, anche se i soci ci avrebbero rimesso almeno 600 milioni, di modo che i trenini non finiscano agli americani. Alla faccia dell'apertura dei mercati e alla faccia del piccolo conflittino di interessi che il governo ha, essendo azionista del concorrente di Italo e cioè di Trenitalia. Evidentemente consapevole della cavolata espressa in modo ufficiale, Padoan ha dovuto correggere il tiro: «Non è un pezzo di Italia che se ne va, ma un investimento estero che arriva in Italia».
UN PEZZO D'ITALIA CHE SE NE VA Si tratta di una grande stupidaggine. La vendita di un'attività italiana a società estera, non è mai di per sé un problema. Ma in questo caso anche i residui dubbi dovrebbero essere eliminati. Chi compra Italo, di fatto compra una concessione per operare sui binari posseduti dalla Rete ferroviaria italiana. Insomma mica si prende trenini e rotaie e le delocalizza. Inoltre, come detto, si tratta di un mercato molto regolamentato oltre che fisicamente intrasportabile. Il fatto poi che si possa partire dall'Italia per aggredire nuovi mercati europei dovrebbe renderci ancora più soddisfatti dell'operazione. Un grande fondo ha i capitali necessari per lo sviluppo e l'aumento di dimensioni e dunque chance di sopravvivenza in un mercato così concentrato. Banalizzando, nessun vetero autarchico potrebbe lamentarsi di aver venduto borsette o auto made in Italy in America. Ecco abbiamo fatto la stessa cosa, in grande scala. Detto questo anche molti marchi comprati da multinazionali nel settore lusso, per i quali piagnucoliamo in continuazione, grazie all'ingresso in grandi gruppi sono diventati più floridi e più italiani: da Bottega veneta a Gucci, dalla SanPellegrino alla Birra Peroni.
LA FRECCIATINA DI MONTEZEMOLO Ieri il presidente di Italo, in una intervista al Corriere della sera, si è fatto sfuggire: «Quando stavamo per chiudere non si è visto nessuno». Chi vuole intendere capisca. Andando un po' indietro con i tempi, al 2015. La situazione di Italo viene descritta dal Fatto quotidiano: «Nel tentativo di risalire la china dopo le batoste economiche e finanziarie prese negli ultimi 7 anni, Ntv, la prima compagnia ferroviaria privata italiana, cerca di cambiare pelle». Deve varare la bellezza di tre aumenti di capitale per portarsi a casa 160 milioni di euro. È quello il periodo in cui dalle parti di Italo avrebbero forse sperato nell'ingresso della Cdp, l'onnipresente investitore statale. Intesa e Generali avevano già fatto la loro parte. L'idea che nelle infrastrutture sarebbe potuto intervenire un investitore pubblico non era peregrina. Pur con un certo conflitto di interessi. Ma ha ragione oggi Montezemolo a togliersi un sassolino dalle scarpe. Ma come, sembra essere il suo ragionamento, ci rompete le balle perché oggi abbiamo venduto agli americani, mentre ieri della nostra azienda non ve ne importava un fico secco.
Con il senno di poi, Montezemolo e soci devono ringraziare il mancato intervento dello Stato e dare un bacio sulla fronte a Intesa e Generali che invece hanno tenuto duro: grazie a queste tre circostanze oggi il loro unico problema è individuare un buon family office.
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