Affittava locali dal mafioso Ora indagate pure lo Stato

La grande ipocrisia del caso Palenzona: lui sì, lo Stato so

Affittava locali dal mafioso Ora indagate pure lo Stato

La direzione antimafia di Firenze sta indagando per associazione a delinquere con l'aggravante del favoreggiamento alla mafia, il numero due di Unicredit, Fabrizio Palenzona. Grancassa sui media, migliaia di pagine di intercettazioni e altro finite sui giornali, consigli di amministrazione convocati d'urgenza e perquisizioni a tappeto. Per gli inquirenti Palenzona si sarebbe adoperato per ristrutturare un debito da 60 milioni che un'impresa tosco-siciliana aveva con la banca. Al centro di tutto un immobiliarista, Andrea Bulgarella, che secondo l'accusa, sarebbe in rapporti con il boss Messina Denaro. Il cerchio si chiude: banca, Palenzona, Bulgarella, Messina Denaro.

Passano i giorni e la difesa di Palenzona e Unicredit tirano fuori qualche carta (di parte, come lo sono peraltro quelle dell'accusa). La ristrutturazione del prestito riguarda sei milioni di interessi di mora, è una procedura che si avvia per qualsiasi debito incagliato e comunque non è andata a buon fine. Il tutto certificato da un'indagine interna. Palenzona dice di non avere mai conosciuto e visto Bulgarella. Dibattimenti, eventuali processi e giudici ci diranno se la storia Unicredit-mafia è una gigantesca bufala o c'è sostanza.

Nelle more di questa inchiesta però è emerso che l'imprenditore (accusato, ripetiamo, di essere vicino a Messina Denaro) ha affittato da trent'anni uno dei suoi immobili alla questura di Trapani e ha concesso dietro canone, da dieci, un altro palazzo alla Procura della medesima città. Le cose a questo punto si complicano. Noi ci limitiamo a porre delle domande. Per quale motivo dirigenti di Unicredit e il loro vicepresidente sono stati intercettati per mesi, perquisiti e indagati per i rapporti con Bulgarella e funzionari, dirigenti e vertici di questura e Procura di Trapani non risultano al momento interessati da alcun avviso o indagine? Sia chiaro non lo auspichiamo. Ma in questo paese di manettari e di sospettosi, possibile che nessuno ritenga imbarazzante (anche penalmente) che uffici pubblici così delicati siano presi in affitto da un sospetto mafioso? La nostra posizione (del tutto minoritaria) è che con i sospetti non si costruiscono le condanne, ma se i sospetti diventano indagini perché alcuni sono tenuti fuori da questa deriva inquisitoria? Se Palenzona viene considerato responsabile di una ristrutturazione di un debito che poi non è stata realizzata, qual è il presupposto per il quale non lo siano altrettanto quei dirigenti pubblici che con la loro firma permettono a Bulgarella di incassare un affitto sui propri immobili? E andiamo avanti. Per quale motivo i magistrati di Firenze non hanno intercettato per mesi anche le utenze telefoniche dei propri colleghi siciliani o dei dirigenti del ministero a Roma che in qualche modo hanno contribuito alla stipula dei contratti con Bulgarella?

La risposta forse è semplice. Nessuno pensava che Bulgarella fosse un mafioso. In molti ci hanno fatto affari, com'è normale che sia. Ma se quegli affari (peraltro in modo marginale) li fanno Unicredit e Palenzona, allora ci troviamo di fronte a «colletti bianchi» che non potevano non sapere.

E i giornali ci vanno giù alla grande. Guardando solo a una parte della luna, poiché l'altra nessuno l'ha illuminata. Alla faccia dell'obbligatorietà dell'azione penale. Che pure magistrati e ministro della Giustizia, Orlando, difendono a spada tratta.

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