Via ai respingimenti: la Sicilia espelle il clandestino Angelino

Il disastro immigrazione e l’abbraccio col Pd affondano il leader Ap. E ora lo mollano tutti

Via ai respingimenti: la Sicilia espelle il clandestino Angelino

L’ unico respingimento che ha funzionato in Sicilia, quello di Alfano. A casa sua l’ex ministro dell’Interno rimedia un flop colossale, resta sotto la soglia minima del 5% e non riesce ad eleggere neanche un consigliere, neppure il presidente uscente dell’Assemblea regionale sicula, Giovanni Ardizzone, un «portatore di voti» affondato dall’abbraccio mortale di Angelino. E pensare che proprio dalla Sicilia, diceva solo qualche giorno fa Alfano, sarebbe partita «la fase nuova di Ap». Prevedeva «16 potenziali entranti» di Ap in Regione Sicilia, insomma si autostimava sopra il 10 per cento, più del doppio della dura realtà. Era talmente sicuro delle proprie forze in Sicilia, da pretendere di scegliere lui il candidato alla presidenza, perché «crediamo di essere la formazione politica più radicata sul territorio», e quindi «non accettiamo i candidati di altri a scatola chiusa». Tanto che, ad un certo punto, sembrò dovesse farlo proprio Alfano, il candidato governatore. Così sicuro, che il leader di Ap ha già fatto un fioretto (per quel che vale in bocca ad un politico, per giunta all’ex delfino di Berlusconi passato a governare col Pd) per le prossime politiche: «Io so già dove mi candiderò. Mi candiderò in Sicilia, nella quota che riguarda il proporzionale, con il mio partito perchè voglio essere eletto con i voti del mio movimento politico» ha annunciato a Radio Capital. Magari dopo la scoppola siciliana cambierà idea. Il risultato, in effetti, è l’opposto di quel che lui prevedeva: «Fabrizio Micari (il candidato del Pd appoggiato da Ap, ndr) vincerà e sarà in grado di governare». Sbagliato. «Con i volti nuovi nelle nostre liste prenderemo più voti». Ri-sbagliato. Ma anche i vecchi ras di consensi rimasti con lui, come il coordinatore regionale Giuseppe Castiglione e l’ex senatore Pino Firrarello, non sono serviti a salvare Angelino. A Catania, feudo di Castiglione & Firrarello, il partito di Alfano non si schioda da un misero 4%, altrove va anche peggio, la provincia dove va meglio è Agrigento. Ma parliamo del cortile di casa Alfano, agrigentino che tanto si è speso per portare finanziamenti pubblici ad Agrigento, dove - non a caso - ha ambientato l’ultimo forum economico Italia-Libia, con tanto di firma congiunta col vice premier di Tripoli. Da ministro, poi, Alfano è volato con gli aerei del 31° Stormo dell'Aeronautica militare (in alternativa con i jet privati della Compagnia aeronautica italiana Spa, convenzionata con Palazzo Chigi, volio molto costosi), più spesso in Sicilia che all’estero, pur essendo il titolare della Farnesina. Nel 2017 sono stati 39 viaggi sull'Isola, una decina solo a giugno, epoca in cui si trattavano appunto le candidature in Sicilia. Tutto inutile. «Il risultato siciliano è negativo, ma non abbiamo rimpianti perché abbiamo fatto la scelta giusta» commenta alla fine Alfano. L’ex ministro dell’Interno paga il conto della sua disastrosa gestione dell’immigrazione, problema che la Sicilia vive sulla propria pelle. E poi della infausta scelta di allearsi con il centrosinistra non solo a Roma ma anche in Sicilia, dove la sua base elettorale è di centrodestra. Molti big locali (da Nino Germanà a Pietro Alongi e Francesco Cascio), lo hanno subito mollato per tornare in Forza Italia o passare all’Udc (e orale fughe aumenteranno). Gli elettori hanno fatto lo stesso.

Risultato: Alfano naufra in casa e scontenta tutti, persino la moglie del candidato Pd Micari («Ha detto una cosa assurda, cioè che se mio marito fosse stato con loro, a destra, avrebbe preso più voti»). C’è chi parla di «fine politica» per Alfano. Ma con uno riuscito a fare il ministro con quattro premier diversi, è prudente non dare nulla per scontato.

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