Tokyo 2020

Quella alchimia perfetta tra Gimbo e papà allenatore

Il rapporto tra tecnico genitore e atleta funziona nel nostro sport. Dai Tamberi ai Tortu fino ai Cagnotto nel nuoto

Quella alchimia perfetta tra Gimbo e papà allenatore

Come si allena un campione olimpico? Bel dilemma, soprattutto se l'allenatore è tuo papà. Marco Tamberi se la gioca con una battuta, che deve essere una qualità di famiglia. «Cosa ne so? Non ne ho mai allenato uno. Vedremo strada facendo». Strada facendo troverai un gancio in mezzo al cielo, cantava Claudio Baglioni. E qui la pregiata famiglia ha già trovato un oro in mezzo al cielo. Gianmarco Tamberi deve averlo pensato mentre cantava a squarciagola l'inno di Mameli, esaltato e agitato, la mano sul cuore, il pensiero al suo giardino delle meraviglie che contempla tante piccole grandi cose. «L'inno e il tricolore che sale danno i brividi». «Il gesso con la road to Tokyo torna con me in Italia: non può essere separato dalla medaglia». «Mai nella vita avrei pensato che Danilo Gallinari mi avrebbe chiesto di fare una foto». «Questa è una delle più belle storie sportive che abbia mai sentito: straordinario averla vissuta in prima persona». Ed allora il pensiero corre a quel che è stato. Detto dal papà: «Un percorso difficile, e un momento difficile quando si è fatto male. Lui voleva correre per riprendersi e tornare subito. Io, invece, cercavo un percorso più lento per rimetterlo in condizione di saltare. Ma Gianmarco ha un certo carattere e dunque non era d'accordo. Abbiamo cercato soluzioni intermedie».

Il rapporto padre allenatore - figlio campione non è mai facile, deve trovare sincronismi, equilibrio e il miglior distacco possibile nella vita quotidiana. La nostra atletica fa scuola: uno dei casi più recenti, e riusciti, contempla padre e figlio Tortu. Se chiedete a Nadia Battocletti, giovane e brava mezzofondista di famiglia sportiva, chi sia più simpatico: il papà o l'allenatore? Vi dirà: «Sono indecisa». Con un sorriso, visto che sono la stessa persona. Giorgio e Tania Cagnotto, nostra venerata generazione di tuffatori, sono stati accoppiata di successo per anni. Il calcio ci ha regalato Cesare e Paolo Maldini, anche se in questo caso il papà ha gestito il figlio solo in nazionale. Dice papà Tamberi che la forza del figlio «è nella testa». Ed è forse il segreto della bella simbiosi fra padre e figlio. Papà Graf ha rischiato di far danni su Steffi con oppressivo dispotismo. Andrè Agassi ha sofferto certe maniacalità paterne. Eppure parliamo di campioni. Helmut Girardelli cambiò perfino bandiera, passando da quella austriaca a quella lussemburghese, pur di gestire la carriera di Marc a modo suo: la storia di un padre e un figlio, campione dello sci, uniti contro tutti. Graziano Rossi probabilmente ha regalato al figliolo il buon sangue del pilota, poi Valentino ha fatto il resto.

Ed è vero anche che lo sport unisce, ma può distruggere: campioni e rapporti familiari. La Tamberi family si è presa pure questo oro. Il binomio funziona, regge allo stress, magari litiga ma poi eccoli: ciascuno sul podio a modo suo. Facile intuirne il segreto, più difficile metterlo in pratica. Dice il papà: «Bisogna saper dividere il ruolo. Il padre prova emozioni che non può trasmettere al figlio atleta. Difficile non confondere i sentimenti con il ruolo». E potete immaginare le fatiche del padre dalle parole del figlio: «Sono stati cinque anni difficili perché non accettavo i risultati che facevo. Volevo essere il più bravo di tutti. Ma qui mi sono convinto che il cuore fa la differenza. Me lo ha detto Paltrinieri e l'ho visto piangere di gioia per la mia gara». Basta un lampo per rischiarare la via, basta un lampo per abbagliarti: gli equilibri di un atleta sono più delicati di una asticella in bilico.

E non basta il famoso Mi manda papà.

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