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Un alfaniano su tre è nel mirino dei magistrati

Dal caso Lupi ad Azzollini, il partito di Alfano è stato asfaltato dalle inchieste

Un alfaniano su tre è nel mirino dei magistrati

Roma - Ormai, ammettono nella maggioranza, il problema sta diventando politico. Il tiro al piccione giudiziario contro gli uomini Ncd non accenna a fermarsi, ed è sempre più difficile circoscriverne le ripercussioni: ieri ad essere colpito da richiesta di arresto è stato un altro senatore del partito di Alfano, Gianni Bilardi. E a Palazzo Madama, dove la maggioranza vive già sul filo del rasoio, ogni singolo caso diventa un rischio per il governo. Tanto più che in Senato è già aperta la vicenda della richiesta di arresto per il presidente Ncd della commissione Bilancio Azzollini. È innanzitutto il Pd a trovarsi davanti ad un dilemma assai complicato: i senatori democrat che hanno letto le carte su Azzollini dicono, in camera caritatis, che l'impianto accusatorio «fa rizzare i capelli in testa» per la sua inconsistenza e che il famoso «fumus persecutionis» ci sarebbe eccome, ma prendersi la responsabilità di votare contro una richiesta di arresto spaventa il Pd. Così si cerca di prendere tempo, sperando che sia il Riesame a togliere le castagne dal fuoco, annullando la richiesta dei pm. Nel frattempo però dalla Calabria arriva la nuova grana, mentre solo tre giorni fa la maggioranza alla Camera ha dovuto respingere le mozioni che chiedevano l'allontanamento dal governo del sottosegretario siciliano Castiglione, indagato per il Cara di Mineo. Ma i casi di Azzollini, Bilardi e Castiglione sono solo la punta dell'iceberg, l'elenco degli uomini di Ncd colpiti dalle inchieste è assai più lungo. La vittima più illustre è stato l'ex ministro Maurizio Lupi, che - pur non essendo toccato da nessuna iniziativa giudiziaria - ha dovuto dimettersi per il caso Incalza. Nunzia De Girolamo si dimise da ministro delle Politiche agricole dopo lo scandalo della Asl di Benevento. La concentrazione maggiore di indagati Ncd è infatti a sud, tra Sicilia, Calabria e Puglia, dove il partito alfaniano ha il suo serbatoio di voti: qualche mese fa il Fatto , appassionato di classifiche forcaiole, stilò un bilancio secondo il quale su sessantanove parlamentari centristi ben ventitré sono stati, per una ragione o per l'altra, «attenzionati» dalla magistratura: il 33%. Diversi, va detto, sono stati assolti o il caso che li riguardava è stato archiviato, ma i numeri fanno lo stesso un certo effetto.

Insieme al senatore Ncd Gianni Bilardi sono finiti nell'inchiesta della procura di Reggio sull'uso improprio dei fondi regionali anche buona parte della giunta di centrosinistra che governa la regione da novembre: un colpo duro al Pd, che in quella Regione è tutto e saldamente nelle mani della «ditta» ex Ds, e dove i renziani non battono chiodo: sono riusciti ad eleggere un solo consigliere regionale, e non nelle file Pd ma in una lista apparentata. Ora è probabile che il Nazareno presenti il conto al segretario regionale Magorno, che «non controlla nulla ed è nelle mani della Ditta, che in Calabria è della peggior specie», spiegano. Ma qualcuno - dai Cinque stelle ma anche tra i renziani - fa notare anche un'altra anomalia: la famosa «lista degli impresentabili», annunciata con gran clamore da Rosy Bindi alla vigilia delle Regionali di maggio, all'epoca del voto in Calabria non venne stilata.

Eppure il codice etico era già stato votato dall'Antimafia, e il pericolo di inflitrazioni criminali era stato ampiamente denunciato, anche dallo stesso procuratore di Reggio, audito dalla commissione. Una dimenticanza? «Possibile. Ma guarda caso Rosy Bindi», ricordano maliziosamente dal Pd, «in Calabria vinse le primarie e venne candidata al Parlamento».

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