Va a Palermo e complica un giallo già penoso da tutti i punti di vista. È il giorno della commozione e del ricordo, è l'anniversario di una strage terribile come quella di via d'Amelio. Ma Angelino Alfano ne approfitta per lanciare un messaggio sibillino e tortuoso, in un inquietante cortocircuito fra la storia e l'attualità. Si commemora infatti Paolo Borsellino, ma il pensiero corre alla figlia Lucia, al centro di quella presunta intercettazione fra Matteo Tutino e Rosario Crocetta in cui il medico avrebbe detto, non contrastato dal governatore, che «bisognerebbe farla fuori come il padre». Da giorni la procura di Palermo ripete in tutte le salse che quelle parole non sono agli atti di alcuna inchiesta ma l'Espresso controbatte: quel dialogo invece esiste e i cronisti del settimanale l'hanno ascoltato. Il clima è pesante, fra dolore e sospetti. Ma il ministro dell'Interno allarga ancora il quadro con una serie di dichiarazioni assai pesanti: «Se ci sono altri magistrati che sono in possesso dell'intercettazione fra Crocetta e Tutino, la cui esistenza è stata smentita dalla procura di Palermo, che lo dicano».
Sorprendente. E obliquo. A chi si riferisce Alfano? Mistero. Forse il titolare dell'Interno dispone di informazioni riservate che sfuggono all'opinione pubblica e le centellina dosando le allusioni. O forse no, anche se il retropensiero, scontato, è che Alfano abbia parlato con qualche agente di polizia o con qualche investigatore e abbia saputo quel che ufficialmente è coperto.
Chissà, forse il ministro chiamato ad un appuntamento cosi importante vorrebbe svelenire l'aria, elettrica dopo tante polemiche, ma finisce per ingarbugliare ancora di più la matassa. «Se quelle intercettazioni fossero vere – insiste il ministro – Crocetta si dovrebbe dimettere – ma se quelle intercettazioni non fossero vere, come dice il procuratore della repubblica di Palermo, chi ha fabbricato la bufala che fa, non si dimette?». Di nuovo Alfano sembra giocare col fuoco e pare puntare il dito contro una fantomatica macchina del fango, che avrebbe offerto la polpetta avvelenata all' Espresso . Ma Alfano, sia pure oscillando come un pendolo fra un'ipotesi e l'altra, sembra virare poi decisamente verso la genuinità della frase sotto la lente dei media, incolpando in definitiva qualche misterioso magistrato. «Se quelle procure non le tirano fuori in modo trasparente – è l'affilata bordata finale – allora si tratta di uffici che non fanno il gioco dello Stato».
Un rompicapo. Che alimenta altri veleni nelle stanze già sature di miasmi del potere siciliano. In un gioco di specchi che mette i brividi fra il 92 e il 2015. Il Giornale registra due prese di posizione autorevoli che suonano come una bocciatura senza senza se e senza ma del discorso di Alfano. È diretto Fabio Roia, presidente della sezione misure di prevenzione del tribunale di Milano, leader di Unicost ed ex componente del Csm: «Le parole di Alfano sono quantomeno inopportune e aumentano la confusione. È Palermo a condurre quell'indagine e non è pensabile che ci siano altri pm che scavano sulla stessa materia senza alcun coordinamento con la procura del capoluogo siciliano. In un'occasione cosi solenne Alfano avrebbe fatto bene a misurare i toni».
Ancora più duro, in tempo reale dalla stessa cerimonia di Palermo, è invece Manfredi Borsellino, poliziotto, figlio di Paolo e fratello di Lucia. Manfredi parla della sorella, assessore alla sanità nella giunta Crocetta fino al30 giugno scorso, componendo un quadro apocalittico: «Non sarà la genuinità di un'intercettazione ad impedire che i siciliani onesti sappiano lo scenario drammatico in cui Lucia si è trovata ad operare. Da oltre un anno era consapevole del clima di ostilità in cui operava, delle offese che le venivano rivolte, per adempiere nient'altro che al proprio dovere.
Ed è incredibile che Lucia si sia trovata a vivere un calvario che ricorda per molti aspetti quello del suo grande genitore». Un messaggio terribile quello di Manfredi che non ha bisogno di un pezzo di carta per incenerire la giunta Crocetta. E mandare all'inferno il presunto rinnovamento della politica siciliana.
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