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Alfano vuole rubare a Minniti la stretta sull'immigrazione

Il leader Ap cerca di intestarsi i meriti del decreto. Ira Viminale: "Ho temuto per la tenuta democratica"

Alfano vuole rubare a Minniti la stretta sull'immigrazione

Si è passati dagli sbarchi agli imbarchi, ora fanno la fila per saltare sul gommone del vincitore. Marco Minniti, sceriffo dalla stella rossa, ha un sacco di nuovi compagni. Compagni di viaggio. Il suo decreto sicurezza sembra aver convinto tutti. Pure Minniti.

Ieri poi si è accodato Angelino Alfano, autoproclamandosi vincitore: «A Parigi si è affermata l'agenda italiana». Pazienza se lui non ne ha scritta una riga. Minniti si è indispettito e gli ha subito risposto. Ha parlato a lungo, dalla Festa dell'Unità (il giornale che non c'è più), a Pesaro. Il ministro degli Interni ha detto: «A un certo momento ho avuto paura, davanti all'ondata migratoria e alle problematiche di gestione dei flussi avanzate dai sindaci ho temuto che ci fosse un rischio per la tenuta democratica del Paese. Per questo dovevamo agire come abbiamo fatto non aspettando più gli altri paesi europei».

Tiè Alfano, ascolta e capisci: prima hai ingarbugliato tutto con la politica dell'accoglienza e i tuoi benedetti centri di identificazione (ed espulsione), poi sparisci, ora almeno taci. Sia chiaro, per i suoi ormai Minniti può dir ciò che vuole. Il nostro (loro) eroe ha del genio la zucca scintillante e pure una certa capacità di rientrare nella lampada, starsene coperto, aspettando di uscire al momento giusto. Angelino Alfano è di un'altra stoffa. Il ministro della Sicilia con delega agli Esteri è uomo dalle gambe lunghe, più maratoneta, che scattista. Non è un razzo e forse anche per questo ha rischiato di restar fuori dal gommone dei vincitori. Il biglietto lo ha strappato ieri in extremis, grazie a un'intervista a testate unificate (Corriere della Sera e Messaggero), giusto per rivendicare l'importanza dell'accordo raggiunto a Parigi. Dimenticando, ma son dettagli, che doveva essere lui a occuparsi anche e magari soprattutto di quanto accade in quel mare che va dalla Libia all'Italia.

Lento Alfano, più rock Andrea Orlando. Il ministro di Giustizia, a tempo debito, era già saltato sul gommone dei vincitori. «Chiamatelo decreto Minniti...», scherzava il capo della minoranza Dem nella stanze ministeriali di via Arenula. Così, con ironia e senza compromettersi, si smarcava da quei provvedimenti che portavano pure la sua firma. Poi già a metà estate aveva capito che lo sceriffo rosso stava facendo centro: così, in un lampo, ecco che nel frasario del Guardasigilli si tornava a parlare di «decreto Minniti-Orlando», si faceva sapere che sul caso Ong c'era da parte del ministero di Giustizia pieno appoggio alla linea del Viminale, si pensava pure a un ticket-elettorale tra due «vecchi comunisti».

Alleanza che, ora all'interno del partito, preoccupa un po' tutti, dal catto-spietato Renzi al catto-comunista Delrio. Meglio allora saltare tutti sul carro del vincitore. Pure la piazza si è adeguata. A Roma, nel 2009, protestarono in 200.000, tutta la sinistra di lotta e di aspirazioni governative contro il decreto sicurezza del ministro Maroni e del governo Berlusconi. Era, davvero con poche differenze non sostanziali, lo stesso piano dello «sceriffo rosso». Protestava anche l'attuale inquilino del Viminale pensa un po'. Era il 2009, era il responsabile sicurezza del partito e diceva: «Nel disegno di legge ci sono norme chiaramente discriminatorie, alcune delle quali odiose».

Poi ha convinto pure se stesso, magari è davvero un genio.

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