Un anno fa, nella tarda mattinata del 25 luglio, l'annuncio che Sergio Marchionne non ce l'aveva fatta. Poche ore dopo, nel giorno della seconda trimestrale, il suo successore, Mike Manley, comunicava con un nodo in gola che per la prima volta Fca aveva registrato una liquidità netta industriale, a quota 0,5 miliardi. Debito azzerato, dunque, e missione compiuta. Il destino, però, è stato crudele: il cuore di Marchionne ha cessato di battere proprio nella data che, da tempo, aveva evidenziato in rosso nella sua agenda.
Quasi due mesi prima, a Balocco, alla presentazione dei piani di Fca, nel suo intervento finale, Marchionne si era soffermato sulla frase di un analista: «Può Marchionne lasciare qualcosa di scritto, delle istruzioni per l'uso e infondere il suo Dna nell'organizzazione in modo che resti per sempre una macchina a elevate prestazioni? Chi può dirlo. Quello che sappiamo, però, è che l'uomo che ha costruito la nuova era di Fca sostiene che se ne andrà presto». Con il senno di poi, queste parole rappresentano una sorta di profezia. È vero che Marchionne se ne sarebbe andato presto, ma non nel modo che il destino gli ha beffardamente riservato. L'addio a Fca sarebbe arrivato nell'aprile di quest'anno e lui, pronto a prendere casa dalle parti di Maranello, si sarebbe dedicato anima e corpo alla Ferrari.
È passato un anno da quel 25 luglio e tutto, sia in Fca sia in Ferrari, è cambiato: i capi, le strategie, il modo di comunicare, il mondo in cui opera il Lingotto. Negli ultimi anni, Marchionne ha dedicato buona parte delle sue energie all'azzeramento del debito del gruppo - aspetto importante per trovare un nuovo partner forte - e alla soddisfazione degli azionisti. Meno bene, invece, il capitolo prodotti. Per quest'anno e buona parte del 2020, Fca non avrà novità: le fabbriche sono in via di riammodernamento per ospitare le vetture elettrificate, Alfa Romeo (abile, comunque, la mossa dell'ex ad di riportare il brand in F1) e Maserati «soffrono» la mancanza di una gamma più ricca, il tabù Cina resta tale e, se non fosse per gli Usa, la situazione sarebbe pesante.
È l'Europa, mercato in debito d'ossigeno, il problema maggiore. La svolta sulle auto elettriche e ibride, imposta dalle nuove norme Ue anti CO2, è arrivata in ritardo e la rincorsa sui concorrenti non è facile. Per Manley e la sua squadra la sfida non ammette ulteriori tentennamenti, visto anche il crollo della domanda di motori diesel. Ma la Fiat 500 elettrica debutterà solo il prossimo anno e lo stesso vale per i primi modelli ibridi ricaricabili. Ecco, a Marchionne si può forse imputare di avere sottovalutato il problema e la velocità impressionante, peraltro già forte negli ultimi anni, con cui il mercato sta cambiando.
Il top manager, inoltre, aveva abituato analisti e osservatori a colpi di scena capaci di stupire anche nei momenti più inaspettati. «Come quando - ricordano da una sala operativa - annunciò, in coda a una presentazione, lo scorporo di Fiat Industrial e, più di recente, quello di Ferrari». In un anno, tutto è cambiato: il presidente John Elkann ha preso in mano gli aspetti finanziari del gruppo, lasciando all'ad Manley l'operatività. E se Marchionne, a ogni occasione pubblica, un titolo ai giornali lo assicurava, toccando anche i temi politici e sindacali, ora tutto è più compassato. La Borsa, da parte sua, resta in attesa del «colpo»: lo scossone, in verità, era arrivato a fine maggio: l'annuncio che con Renault era quasi fatta. Una soluzione di cui avrebbe beneficiato tutta l'area produttiva.
Dopo i no di Gm e Volkswagen a Marchionne, poteva essere la ciliegina per i 120 anni di Fiat. Invece, tutto è sfumato, con scambi reciproci di colpe tra Torino e Parigi. Ma l'attesa che qualcosa sul fronte nozze possa ancora accadere continua.
Il recente report di Goldman Sachs ha intanto instillato nuovi dubbi e preoccupazioni, soprattutto sulla linearità del mercato Usa, vitale per Fca. E poi c'è Maranello, con la macchina da guerra Ferrari.
L'azienda continua a brillare, ma si avverte la mancanza di una figura forte, come lo sono stati Enzo Ferrari, Luca di Montezemolo e lo stesso Marchionne.Quel leader capace di imporsi nella Formula 1, da troppo tempo anello debole del Cavallino, con i boss di Fia e Liberty. L'uomo solo al comando che in tanti hanno invidiato all'Italia.
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