Alcuni casi fanno quasi tenerezza. Come i docenti e studenti dei conservatori musicali scesi in piazza sabato scorso in tutta Italia al ritmo di trombe e violini per «suonarle» al governo: la riforma che dovrebbe ridare loro dignità c'è dal 1999 ma da sedici anni manca di decreti attuativi. È non è un caso isolato.I provvedimenti attuativi sono ormai l'unità di misura della distanza tra promesse e realtà. Più ne mancano da approvare, più le buone intenzioni annunciate restano sulla carta. E non si tratta solo di vecchie leggi dimenticate nelle pieghe della politica. La rincorsa ai decreti attuativi è diventata numericamente massiccia con Letta e Monti. E con Renzi è prassi di governo. Il premier si presenta con le sue slide zeppe di mirabolanti riforme. Ma spesso dietro c'è poca sostanza. Aumentano le leggi delega, che lasciano al Parlamento la cornice per poi demandare al governo il compito di riempirla. E poi ci sono le grandi riforme che prevedono a cascata decine di decreti ministeriali, cui serve un lungo iter prima della sospirata «bollinatura» della Ragioneria generale.L'elenco è sterminato: il canone Rai in bolletta dovrebbe scattare da luglio, ma le aziende elettriche sono in subbuglio perché ancora due giorni fa è stata rinviata l'approvazione delle norme attuative che spiegano chi paga e come. Anche la riforma della Pubblica amministrazione, la cosiddetta «Madia», venduta come fatta, ha appena incassato i primi undici decreti, ma ne mancano altri.Proprio come il pacchetto annunciato da Renzi, con tanto di promesse da un miliardo di euro, dopo l'attentato di Parigi: «Per ogni euro investito per la sicurezza, ce n'è uno per la cultura», si vantava il premier. Ma senza i decreti attuativi quegli euro restano virtuali. Non c'è ancora la famosa card da 500 euro per i diciottenni né le regole per destinare il 2 per mille dell'Irpef alle associazioni culturali. Del resto non è completo nemmeno il Jobs act, il più grande vanto renziano, figurarsi se possono essere operativi provvedimenti altrettanto importanti, ma meno mediatici, come la riforma del catasto o l'introduzione del leasing immobiliare. Perfino l'altro grande medaglia che il premier si è appuntata resta priva di dettagli operativi essenziali: la Buona scuola in gran parte è ancora solo una buona intenzione.Di recente Renzi ha provato a schiacciare sull'acceleratorecon un «taglia decreti» che dovrebbe snellire le procedure e ha cercato di mettere sotto pressione i suoi stessi ministri evidenziando nelle tabelle dell'Ufficio attuazione del programma, che si occupa proprio di questa annosa materia, quali dicasteri non hanno fatto i compiti. Ma i risultati sono ancora modesti e tra gli inadempienti c'è pure Palazzo Chigi. Renzi si nasconde evidenziando le magagne degli altri: l'ultimo rapporto del suddetto Ufficio, scandagliato dal Sole24Ore, sottolinea come l'atttuale governo abbia portato rispettivamente all'82,8% al 71,2% lo smaltimento dei decreti fantasma rispettivamente di Monti e Letta. Meno dettagliato è però il quadro dell'attuazione delle norme renziane: fino a dicembre scorso ne erano arrivate il 40%, meno di 300 su 613. Ma l'elenco si allunga di continuo.
E chi, come l'associazione Openpolis, cerca di verificare i numeri forniti dal governo, denuncia la trasparenza a metà. I dati ci sono ma in formato non verificabile. Come dire, tocca fidarsi delle slide.Twitter: giuseppemarino_- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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