Afghanistan in fiamme

Arif, medico afghano senza speranze: "Azzerati vent'anni di cambiamenti"

"I talebani di oggi sono peggiori perché li anima la vendetta"

Arif, medico afghano senza speranze: "Azzerati vent'anni di cambiamenti"

«I talebani di oggi sono più pericolosi di quelli di ieri. Li anima la vendetta, che nella nostra tradizione è un sentimento forte. Mostrano la faccia moderata solo per avere un riconoscimento internazionale. L'Afghanistan diventerà il centro del terrorismo e i talebani minacceranno tutto il mondo». Arif Orykhail, medico afghano fuggito lunedì a Roma da Kabul, confessa di non avere speranza per il futuro del suo Paese. Lui che l'ha lasciato nel 1984 per i campi profughi in Pakistan, poi per l'Italia nel 1992, dove ha ottenuto asilo politico e lavoro al policlinico Gemelli di Roma, quando la Farnesina l'ha chiamato perché tornasse in patria ad aiutare per la ricostruzione, è partito. Dal 2006 collabora ai progetti di Cooperazione allo sviluppo. «Dovevo farlo. Per un debito verso il mio popolo e l'Italia, che mi ha accolto. Una doppia responsabilità».

Arif, classe 1961 e una vita travagliata quanto esemplare alle spalle, riceverà il 4 settembre nel borgo umbro di Arrone il Premio Valore Coraggio, nuovo riconoscimento promosso dalla Fondazione Italia Sostenibile. Ma quanto coraggio serve per la seconda fuga dall'Afghanistan del ritiro americano, dopo la prima dall'occupazione russa? «Tanto per tornare in patria e ora nell'abbandonarla di nuovo, quando si vedeva un Paese migliore. In 20 anni molto è stato fatto, sono cambiate cultura, mentalità, condizione femminile, società insomma, soprattutto nelle grandi città. Nessuno vuole tornare indietro. Il nostro team ha aperto ospedali a Kabul e Herat, ha organizzato una rete sanitaria, fatto formazione. Ora tutto sembra azzerato. Ero all'ambasciata italiana e ci hanno detto di partire subito, ma i talebani erano già ai cancelli, le strade per l'aeroporto nelle loro mani. Un elicottero della Nato ci ha prelevato e arrivati allo scalo militare abbiamo pensato: siamo salvi! Ma a Roma ho acceso il cellulare e ho trovato 130 messaggi dei tanti rimasti lì. Messaggi disperati, richieste d'aiuto, donne chiuse in casa, un orrore infinito. Sono ancora scioccato dalle urla: Qui fanno piazza pulita!. In questi giorni sono andato a Fiumicino ad accogliere chi è riuscito a partire. L'ultimo mercoledì, dopo tre notti nell'aeroporto. Dei 51 del team uno solo non è riuscito a superare lo sbarramento. Ormai fanno passare solo chi ha passaporto straniero».

C'è grande dolore, nella voce di Arif. Che di un no categorico a un dialogo coi talebani. «Non si può legittimarli, certo vediamo che governo faranno, se misto, con degli intellettuali o solo di mullah. Ma l'Occidente deve affrontare questa crisi umanitaria. I prezzi sono già saliti, non si trova da mangiare, gli ospedali sono senza medici o ossigeno». Finale sconsolato. «A Kabul è rimasto Tommaso Claudi, il giovane console con pochi carabinieri del Tuscania.

Non dorme da una settimana, è bravo, ma che può fare da solo in questo disastro?».

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