Arte e champagne sposi in una tana

I 19 km delle caverne Pommery per un anno diventano un Louvre

Tony Damascelli

Se andate a Reims date un'occhiata alle vetrate della cattedrale di Notre-Dame. Ha vetrate bellissime, mai pulite da mille anni eppure perfette, per miracoli dell'uomo e di Nostra Signora dei Cieli. Se volete scoprire altre realtà miracolose provate a travestirvi da minatori, senza pensare al carbone e al buio angosciante delle gallerie. Scendete trenta metri sotto il cielo di Francia e sarete gli Indiana Jones alla scoperta dei sotterranei della maison Pommery che non è soltanto il nome, l'etichetta di uno champagne ma è una fetta grande della storia di questa città e della terra francese. Perché non si tratta soltanto di bottiglie, di botti, di uve, e già questo basterebbe, anzi basta e avanza. Ma è lo spirito della caverna, un'eco che avvolge e rende stupefacente quello che da un secolo e più questo nome si porta appresso.

Crateri di gesso, là dove vennero riposti i primi gioielli delle vendemmie, perché il gesso ingessa, appunto, contiene, tutela, protegge e che cosa altro di più importante, oltre alle vetrate di Notre-Dame, poteva essere accudito con cura massima? Il vino che spumeggia, quello che donna Luisa, in francese per esteso Jeanne Alexandrine Louise Melin, vedova di Alexandre Pommery, decise di portare da vite a vita, abbandonando filati e tessuti vari, merce cara ma anche rara del tempo in Reims. Esistevano e resistevano le cave costruite dai romani antichi all'epoca dell'occupazione della Gallia. Direi, senza bestemmia e con gioco ignorante, che questo è il vero de bello, non guerra ma bellezza dell'idea, avanguardia di quello che negli anni sarebbe diventato un must, lo champagne, per l'appunto. Ma quelle caverne, dove i fantasmi giocavano a impaurire i viventi, quegli antri lunghi diciannove chilometri, pietra calcarea che i francesi chiamano crayeres, sono diventati un museo, un parco di divertimenti sani.

Da domani fino all'estate del prossimo anno, venti artisti esporranno le loro opere, seguendo una tradizione voluta da madame Louise e ribadita puntualmente, a conferma che sotto terra vive un altro mondo, comunque umano, comunque fresco, non soltanto per la temperatura del termometro ma per l'ingegno dell'uomo, dando così luce al buio, con le tavole violente dipinte da Peterson, i portalampade, ventimila, del danese Matias Faldbakken, i chiaroscuri di Bresson o l'onirica visione di Horfee e, ancora, i graffiti di SAEIO un parigino che trasporta i suoi di-segni dai muri ai video.

Una rassegna completa, sotterranea ma non certo clandestina, così

come in quelle grotte costruite dagli uomini, madame Louise intuì il futuro commerciale e storico della sua casa, di una maison che non si è limitata a produrre champagne ma ad avvolgerlo non soltanto nel gesso ma nell'arte.

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