Ingroia difende i "soci" di Ciancimino

Aveva giurato: "Come legale non assisterò mai mafiosi e corrotti"

Ingroia difende i "soci" di Ciancimino

Aveva detto, giurando da avvocato dopo aver lasciato la toga da pm e fatto flop in politica: «Per coerenza con la mia storia non difenderò mai mafiosi e corrotti». In effetti non aveva aggiunto, l'allora novello avvocato Antonio Ingroia, i (presunti) riciclatori di uno dei più grossi patrimoni di mafia, quello accumulato dal defunto sindaco-boss di Palermo Vito Ciancimino, il padre di Massimo, l'ex «icona dell'antimafia» (Ingroia dixit , in un libro) finito sotto accusa. E invece proprio l'ex procuratore aggiunto di Palermo, padre del processo sulla trattativa Stato-mafia e depositario, da pm, delle dichiarazioni di Massimo Ciancimino, si ritrova a difendere due imputati nel processo in corso a Roma contro i presunti complici di Ciancimino jr. nel riciclaggio dei soldi di papà.

Uno strano paradosso. Nel dibattimento davanti alla IX sezione penale sono imputate cinque persone, non Massimo Ciancimino, che per riciclaggio è stato già condannato e dunque non può essere processato di nuovo. Ingroia ne difende due: Raffaele Valente e il rumeno Victor Dombrovschi, accusati dai pm di aver cercato insieme ad altri tre (Romano Tronci, Sergio Pileri e Nunzio Rizzi) di aggirare il sequestro di parte del tesoro di Vito Ciancimino finito in Romania. La storia è quella, nota da tempo, degli interessi di Ciancimino junior in Romania nella più grande discarica di rifiuti d'Europa gestita dalla Ecorec. Il gip, nell'agosto del 2013, aveva sottoposto la società a sequestro. E per i pm gli imputati avrebbero cercato di venderla per salvare il tesoro dell'ex sindaco boss. Di qui il processo. Che ora vede Ingroia difendere gli amici del suo ex pupillo.

Per la cronaca ieri, dai giudici romani, l'avvocato Ingroia ha ricevuto l'ennesimo schiaffo. È stata infatti respinta l' istanza con cui chiedeva di acquisire al dibattimento gli atti dell'inchiesta di Caltanissetta e del Csm contro l'ex presidente della sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo Silvana Saguto, accusata di corruzione. Ingroia voleva quelle carte. E aveva anche chiesto di ascoltare come teste assistito l'amministratore giudiziario indagato con la Saguto, l'avvocato Gaetano Cappellano Seminara. Ma dai giudici è arrivato un doppio no: non ci sono collegamenti col caso che sta scuotendo il palazzo di giustizia di Palermo. E l'ex pm non l'ha presa bene: «Decisione incomprensibile».

Una bocciatura.

L'ennesima per Ingroia da quando ha lasciato la magistratura: prima il flop politico con Rivoluzione civile; poi il braccio di ferro col Csm per la destinazione alla procura di Aosta, culminato nell'addio alla toga; quindi i guai legati agli incarichi in Regione datigli dal governatore siciliano Crocetta; e dulcis in fundo i pasticci connessi alla professione di avvocato, con i procedimenti disciplinari dell'Ordine (si era presentato in Aula, al processo sulla trattativa Stato-mafia, prima di prestare giuramento). Ora l'ennesima tappa della parabola: lui, che non doveva difendere mafiosi, difensore di due presunti complici dell'occultamento del tesoro di Ciancimino. Uno dei più grossi patrimoni di mafia della storia.

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