Milano - «Parlate con i nostri ragazzi, vi racconteranno storie di terre lontane, di pericoli incontrati e dell'umanità e della professionalità che portiamo in giro per il mondo nelle nostre missioni». Il generale di Corpo d'armata Claudio Berto è il comandante delle Truppe alpine. È il capo, e un po' il padre, di tutti gli alpini in servizio attivo. All'Adunata nazionale degli alpini che è in corso a Milano, con oltre 500mila penne nere e loro accompagnatori attesi in città, è un po' il padrone di casa. Insieme al presidente dell'Associazione nazionale alpini Sebastiano Favero.
Berto è il più alto in grado alla Cittadella allestita da Truppe alpine e Ana nel parco Sempione. Ma si ferma ogni volta che un militare in servizio negli stand gli chiede una foto. «C'è un legame forte, al di là del grado - dice -. A volte mi chiamano ancora capitano».
Qual è l'importanza di questa Adunata organizzata proprio a Milano?
«Gli alpini sono da sempre molto legati alla loro storia e alla memoria, quindi celebriamo sempre con impegno le nostre radici. L'Associazione nazionale alpini è nata in città cento anni fa e questa era una ricorrenza che non potevamo non onorare. Anche se magari arrecheremo qualche disagio agli abitanti, visto l'enorme numero di persone che l'Adunata raccoglie, e di questo ci dispiace, non potevamo mancare».
C'è un altro simbolo importante legato a Milano.
«Il Reggimento Quinto alpini è nato qui il primo novembre 1882. È stato quello, tra gli altri, di Carlo Emilio Gadda, di Cesare Battisti, di Nuto Revelli, di Achille Compagnoni. La bandiera di guerra del Quinto è tornata in città per l'occasione e aprirà la sfilata di domani».
Una sfilata oceanica, quasi mezzo milione di persone, che impiegherà l'intera giornata ad attraversare la città. Cosa si devono aspettare i milanesi da questa invasione pacifica?
«Voglio dire a chi non ci conosce da vicino che l'Adunata non è solo folklore. Oltre alle fanfare, alla confusione che può causare qualche lamentela c'è molto di più. Non esiste un'altra occasione o un'altra istituzione capaci di far spostare e riunire 500mila persone, tra alpini e accompagnatori. Non è certo solo per bere un bicchiere in compagnia e fare festa. Siamo qui per celebrare i valori della solidarietà, della fatica che abbiamo fatto insieme in montagna».
Da dove nasce tale attaccamento al Corpo?
«Chi ha provato sa cosa vuol dire arrivare in vetta con un commilitone o un amico. Quando ero capitano, durante la salita i miei alpini soppesavano il mio zaino per verificare che anche il comandante portasse lo stesso loro peso. Era così e dormivamo insieme in tende e stalle. Esperienze come queste rimangono impresse e lì nasce l'affetto per il capitano e per il Corpo».
La montagna è una fede.
«Noi abbiamo un rituale. Portiamo la bandiera in vetta, la issiamo su una croce o un'antenna e recitiamo la Preghiera dell'alpino. Poi contempliamo le meraviglie del creato. I soldati di montagna hanno il privilegio di poter pensare non solo all'aspetto militare ma di godersi anche il panorama».
Molti ragazzi chiedono informazioni per arruolarsi.
«È positivo, servono sempre forze giovani. Io dico loro: Se non temete la fatica, amate l'avventura e cercate una professione stimolante, questo è il vostro mondo.
Poi chiedete a uno qualunque degli alpini che trovate qui, rimarrete sorpresi. Vedete il soldato laggiù? È figlio di un soldato Medaglia d'oro al valor militare caduto in Afghanistan e ha scelto la stessa strada del padre, quella di artificiere».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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