Il "barricadiero" che si consola con la pensione da parlamentare

Chi è Daniele Farina leader del centro sociale con un passato tra i banchi di Montecitorio

Il "barricadiero" che si consola con la pensione da parlamentare
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C'è un uomo in camicia a quadri, megafono in mano e cellulare infilato nel taschino davanti al Leoncavallo durante lo sgombero, ed è una sorta di capsula del tempo, un testimone della lunga stagione italiana della disobbedienza e delle okkupazioni. Si chiama Daniele Farina, quasi sessantuno anni vissuti tutti tra cortei, scontri di piazza, centri sociali, aule consiliari e scranni parlamentari, senza mai conoscere il "lavoro" nel senso tradizionale del termine.

Farina, in altre parole, è la prova vivente che si può campare di militanza: appena ventenne finisce condannato per fabbricazione e detenzione di una molotov, resistenza a pubblico ufficiale e lesioni personali gravi. Dagli anni '90 diventa portavoce del Leoncavallo, il centro sociale milanese per eccellenza. Nel 2001 entra a Palazzo Marino come indipendente per Rifondazione, e nel 2006 sbarca anche in Parlamento (ci tornerà nel 2013 con Sel). Quanto basta per garantirsi una pensioncina da ex onorevole. Senza togliergli la voglia di disobbedire. Come se il tempo, per lui, in questa lunga parabola non fosse mai passato.

Farina entra in scena a cavallo tra Ottanta e Novanta. Il Leoncavallo è già un simbolo nazionale dell'"autonomia" antagonista. Dopo lo sgombero del 1989, il centro sociale si riorganizza e diventa fucina di concerti, dibattiti, cortei e scontri con le forze dell'ordine. Lui ne è il portavoce, parla con tutti ma resta radicale nei toni. "Noi non siamo per la resistenza passiva", spiega ai cronisti nel '93 rigettando al mittente una proposta di sgombero con contestuale trasloco: "Se il prefetto darà l'ordine di sgomberarci con la forza, noi ci comporteremo di conseguenza". A ogni incontro, per ogni trattativa, il volto del centro sociale milanese è il suo.

E, come detto, nel 2001 entra nelle istituzioni: non solo attivista, no global, antiproibizionista, ma pure consigliere comunale. È a Genova per il G8 nel 2001, al corteo contro la Bossi-Fini nel 2003. Ma la sua "linea politica" provoca non pochi attriti interni: al Leoncavallo non tutti vedono di buon occhio il tentativo di strutturare il movimento e di avvicinarlo ai partiti della sinistra radicale. A lui, invece, non va male.

Nel 2006 in Parlamento diventa vicepresidente della commissione Giustizia, nonostante i precedenti penali. Trova pure una strana sintonia con Vittorio Sgarbi che chiede il vincolo della sovrintendenza per i graffiti del Leoncavallo. Finita in anticipo la legislatura, e trombato alla tornata successiva, l'onorevole Farina rimette nell'armadio giacca e cravatta e torna al suo ruolo di portavoce in via Watteau. Di lui si perdono un po' le tracce fuori dal circuito dei centri sociali, finché nel 2013 con Sinistra Italiana torna alla Camera, stavolta per cinque anni: quanto basta a garantirgli il vitalizio.

Poi Farina resta un po' alla larga delle cronache. Fino a due anni fa, quando Avs lo mette in lista per le regionali lombarde e lui organizza una cena al Leonka insieme al candidato di centrosinistra, Majorino, che accende qualche polemica. Ma vince Fontana. E a Farina i mille voti non bastano per il Pirellone. L'okkupante torna lontano dalle luci della ribalta, ma sempre presente a cortei e manifestazioni. Fino all'ultima immagine: ancora in prima fila a contestare lo sgombero, megafono in mano.

Tra tanti ex disobbedienti che hanno cambiato strada, tra tute bianche che correggono il tiro, Farina resta del suo sacco, a 20 come a 60 anni. Praticamente un "rimasto" doc, dal Leoncavallo a Montecitorio e ritorno. Sgomberi permettendo.

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