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La battaglia sul 41 bis è un cavallo di Troia per eliminare il carcere duro per i mafiosi

La strategia dell'anarchico e il rischio di strumentalizzare principi giusti

La battaglia sul 41 bis è un cavallo di Troia per eliminare il carcere duro per i mafiosi

La sinistra gioca tutte le sue carte per provare a infastidire l'esecutivo di Giorgia Meloni, anche quelle false. È vero quello che dice l'ex segretario Pd Piero Fassino, «incontrare i detenuti non solo è un diritto, ma un dovere di chi eletto in Parlamento, è questione di cultura istituzionale». Ma allora perché arrabbiarsi se qualcuno scopre che quattro deputati democratici hanno incontrato l'anarchico Alfredo Cospito?

C'è chi sostiene che interloquire con chi non dovrebbe avere contatti con l'esterno di fatto vanifica questo discusso regime penitenziario, ne mina le fondamenta, lo svuota. Se la mafia è da sempre contraria al carcere duro è proprio per questa detenzione che rende i boss impermeabili. È probabile che Cospito sia diventato il (nuovo) cavallo di Troia dei boss per demolire il carcere duro, altro che «fantapolitica», come sostiene il suo legale Flavio Rossi Albertini, ai microfoni di RaiRadio1. Cambia poco che sia perché gliel'ha chiesto la mafia o che sia una sua scelta «essendo un personaggio politico, un rivoluzionario», e che la sua battaglia - per usare le parole del suo avvocato - sia in nome dei «748 esseri umani vittima di «un sistema barbaro, medioevale da Santa Inquisizione». Qualcuno maligna che Cospito si sia preparato per tempo allo sciopero della fame, ingrassando, in modo che la sua protesta potesse durare il più a lungo. Decideranno i medici di Opera.

L'attacco al carcere duro, concepito nel 1986, inizia nel 1992 dopo il «superdecreto antimafia» elaborato dagli allora ministri dell'Interno e della Giustizia Enzo Scotti e Claudio Martelli contro le stragi che uccisero Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, con l'obiettivo di colpire i responsabili. Una volta Leoluca Bagarella lesse un proclama a nome degli oltre 600 detenuti al carcere duro, e scoppiarono polemiche per settimane.

Anche la legittima battaglia per l'abolizione dell'ergastolo ostativo in nome di una nobile pretesa, la possibilità per ogni detenuto di rieducarsi e risocializzarsi, rischia di diventare un boomerang a favore della mafia, e non possiamo permettercelo. Non è solo una questione di singoli detenuti né di principii, come la presunzione assoluta (e per questo incostituzionale) di pericolosità e irrecuperabilità del detenuto al 41bis. Chi ha commesso crimini contro l'ordine democratico e non si pente come Cospito non può avere benefici. Un cedimento sarebbe un favore ai boss e un oltraggio alla memoria dei due giudici.

Anche i mafiosi l'hanno messo in conto. In fondo anche Matteo Messina Denaro ha vissuto un 41bis all'aria aperta, nascosto come un topo che vuol fuggire dai gatti. Dopo le stragi la liberazione di alcuni boss, imposta dall'allora capo dello Stato Oscar Luigi Scalfaro al governo di centrosinistra e firmato dal ministro Giovanni Conso, fu un segnale di debolezza. Poi i detenuti al 41bis trovarono una modalità con l'ok del Dap per interloquire con lo Stato, il famigerato «Protocollo Farfalla» su cui l'ex premier Matteo Renzi tolse il segreto di Stato. Un tassello della presunta trattativa Stato-mafia, un elemento del famigerato Papello, si ipotizzò allora.

Da settimane la sinistra si batte legittimamente perché Cospito esca dal carcere duro, ma ha citofonato all'indirizzo sbagliato. Non decide il Guardasigilli Carlo Nordio, come aveva peraltro previsto un emendamento del 2002 di Francesco Nitto Palma.

Decidono i giudici se la misura è compatibile con le condizioni di salute del detenuto. Ora il Pd abbaia alla Luna forse perché ha capito (troppo tardi) il rischio di essere strumentalizzato, in nome di principi legittimi, da Cospito e dai boss. A sua insaputa, come dopo la morte di Falcone.

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