
In un passaggio del suo intervento al Meeting di Rimini, la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha detto che una delle priorità sulle quali intende lavorare insieme al Ministro Matteo Salvini è un grande piano casa a prezzi calmierati per le giovani coppie.
L'annuncio della Premier segue l'approvazione, nell'ultima legge di bilancio, di due norme: una finanziata con 560 milioni di euro a partire dal 2028, ma probabilmente destinata a essere almeno in parte anticipata che affida a un decreto l'attuazione di un piano nazionale per l'edilizia residenziale pubblica e sociale denominato "Piano casa Italia"; l'altra sostenuta da un miliardo e 381 milioni nel 2025 che prevede l'efficientamento dell'edilizia pubblica, anche residenziale, e delle abitazioni di famiglie a basso reddito e vulnerabili. Attività, quest'ultima, quantomai necessaria considerata l'esistenza di ben 86.000 alloggi popolari non assegnati, perché bisognosi di interventi di ristrutturazione, che si aggiungono a chissà quante migliaia di abitazioni occupate abusivamente, a seguito di azioni illegali o per effetto di mancati controlli sulla persistenza dei requisiti.
Al di là dei contenuti specifici delle misure in gestazione, comunque, è positivo che il Governo abbia confermato l'intenzione di affrontare concretamente un problema di così grande importanza economica e sociale come l'accesso all'abitazione.
Un problema, tuttavia, che necessita di essere trattato con un ventaglio di misure, affiancando a quelle la cui realizzazione richiede tempi estesi, come è il caso degli interventi di edilizia pubblica, altre che siano in grado di produrre effetti immediati.
In questo quadro, un ruolo importante può essere svolto dalla proprietà immobiliare diffusa, fatta di milioni di piccoli risparmiatori, e dall'affitto privato. Occorre ampliare questa tipologia di offerta abitativa, che ha grandi margini di crescita. E per farlo bisogna dare ai proprietari incentivi e sicurezze.
Tra gli incentivi, due misure in particolare potrebbero essere in grado di determinare un incremento del numero di case disponibili a canoni accessibili.
La prima è l'estensione a tutti i comuni dell'aliquota del 10% della cedolare secca prevista in caso di utilizzo dei contratti di locazione a canone concordato, quelli che hanno minimi e massimi fissati in sede locale dai rappresentanti della proprietà e dell'inquilinato. Ora quest'aliquota ridotta si applica nei comuni capoluogo, in quelli confinanti con 11 grandi città, nei comuni considerati ad alta tensione abitativa e in quelli colpiti da specifiche calamità. La sua estensione a tutta Italia avrebbe il pregio, oltre che di semplificare un sistema complicato, di ridurre la pressione abitativa su alcuni centri, indirizzando la richiesta di case su altri e favorendo la rivitalizzazione di aree interne.
Il secondo intervento che si suggerisce consiste nell'incremento della riduzione Imu da qualche anno prevista per la stessa tipologia di locazioni. Attualmente la percentuale è del 25%: andrebbe dimezzata l'imposta ma se si arrivasse all'azzeramento il messaggio giungerebbe in modo inequivocabile, le risposte in termini di maggiore offerta abitativa sarebbero conseguenti e gli oneri per l'erario contenuti.
Quanto alle certezze, è presto detto. I proprietari devono sapere che al termine della locazione, o in caso di morosità, l'immobile verrà loro restituito in tempi rapidi.
Se si raggiungesse anche questo obiettivo, le case in affitto si moltiplicherebbero, con vantaggi concreti per i giovani, per le famiglie e per l'intero Paese. Ma su questo punto non s'impongono soltanto modifiche normative: servono anche cosa forse più difficile cambiamenti di prassi consolidate in chi le leggi è chiamato a eseguirle.*presidente Confedilizia