Politica

Dalle lenzuolate al giaguaro: così finisce l'era Bersani

Pier Luigi Bersani ha annunciato che non si ricandiderà nel 2023. Da semplice consigliere comunale, ha scalato le vette della politica italiana non riuscendo, però, ad arrivare a Palazzo Chigi

Il deputato Leu Pierluigi Bersani
Il deputato Leu Pierluigi Bersani

“Non lascerò la politica, quella non si lascia mai. Il seggio sì”. Così Per Pier Luigi Bersani, intervistato dal Fatto Quotidiano, annuncia che nel 2023 non si ricandiderà.

L'ex segretario del Pd, che nel 2013 voleva “smacchiare il giaguaro” Silvio Berlusconi, dice basta dopo aver trascorso ben cinque legislature consecutive a Montecitorio. Bersani, formatosi tra le sezioni del Pci emiliano-romagnolo, ha alle spalle una lunga carriera da amministratore locale. Partito all'inizio degli anni '80 come semplice consigliere comunale di Bettola, suo paese d'origine in provincia di Piacenza, nel 1993 viene eletto presidente dell'Emilia-Romagna. Una carica che mantiene per soli tre anni perché nel 1996 l'allora presidente del Consiglio Romano Prodi lo chiama per svolgere il ruolo di ministro dell'Industria, del Commercio e dell'artigianato. In tale veste il 'migliorista' Bersani attua la liberalizzazione del settore energetico, rompendo così di fatto il monopolio di Enel. Nel '98 aderisce ai Ds ed è presente sia nel D'Alema-bis sia nel governo Amato-bis come ministro dei Trasporto. Dopo una breve parentesi a Bruxelles, torna in Italia per guidare il dicastero dello Sviluppo economico nel secondo governo Prodi. Questo è il periodo delle cosiddette 'lenzuolate' di Bersani, ossia la seconda tranche delle sue liberalizzazioni che riguardarono la telefonia mobile, consentirono la vendita dei farmaci da banco nei supermercati e un aumento delle licenze per i tassisti i quali, in segno di protesta, paralizzarono le principali città per alcuni giorni.

Dopo la sconfitta di Renato Soru alle Regionali sarde del 2009, Walter Veltroni viene costretto alle dimissioni e Bersani si candida alla segreteria del Pd con la volontà di ammainare definitivamente il vessillo della 'vocazione maggioritaria'. Dopo aver battuto di misura Dario Franceschini, che all'epoca rappresentava l'ala veltroniana del Pd, Bersani, forte della caduta del governo Berlusconi, prepara la coalizione 'Italia Bene Comune' che, secondo i sondaggi, avrebbe dovuto stravincere le Politiche del 2013. Sul cammino verso Palazzo Chigi, però, irrompono due personaggi che rovineranno i piani di Bersani: Matteo Renzi e Beppe Grillo. L'allora sindaco di Firenze impone a Bersani di passare nuovamente dalle forche caudine delle primarie per ottenere l'investitura di candidato premier. Il duello consentì allo sconfitto Renzi di ottenere una notevole visibilità nazionale tale da consentirgli di dar vita a una propria corrente politica che, forte del 40% ottenuto alle primarie, avrebbe dato del filo da torcere ai bersaniani. Il comico genovese, invece, irrompe sulla scena politica col M5S che, forre di un inaspettato 25%, costringe l'allora leader del Pd a dichiarare: "Siamo arrivati primi, ma non abbiamo vinto". Una consapevolezza che porta Napolitano ad affidare a Bersani il pre-incarico (formula mai usata prima) di formare il nuovo esecutivo che, giocoforza, avrà bisogno proprio dei voti dei Cinquestelle per nascere. La diretta streaming con la Taverna e Crimi si rivela un fallimento e, col senno di poi, si tranquillamente dire che Bersani sia stato proprio l'unico con cui i grillini non sono voluti andare al governo. Ma quello era solo l'inizio della fine perché il fuoco amico era pronto a far fuori definitivamente Bersani il quale sembra ancora in cerca di quei 101 franchi tiratori del Pd che, nel segreto dell'urna, affossarono la candidatura di Prodi al Colle. Tra i principali indiziati, ovviamente, c'è sempre stato Renzi che, prima ancora che si prospettasse l'idea di eleggere il 'Professore', si era messo di traverso alla luce del sole di fronte all'ipotesi di una elezione di Franco Marini. La guerra tra il socialdemocratico Bersani e il liberal Renzi, però, sembra non aver mai avuto un epilogo dal momento che tra il 2014 e il 2016 l'ala minoritaria del Pd, la cosiddetta 'sinistra dem' fu animata proprio dai bersaniani. La rottura tra le due anime del partito, renziani e bersaniani, avvenne sul referendum costituzionale del 2016 e si consumò definitavamente pochi mesi dopo con la nascita di 'Articolo Uno'.

Da allora sembra essere passato un secolo e, incredibilmente, ora, è lecito sostenere che Bersani abbia ottenuto quasi maggior rispetto da Silvio Berlusconi che dai suoi compagni di partito. Entrambi sono nati il 29 settembre e si sono fatti forza reciprocamente nei momenti di difficoltà.

Nel 2009 Bersani andò a visitare Berlusconi dopo che venne colpito sul volto da una statuetta lanciata da un fanatico, mentre nel 2014 fu il Cavaliere a far visita all'ex segretario Pd quando venne ricoverato per un'emorragia cerebrale.

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